Un incontro speciale per commerare la D.U.D.U. in modo non rituale…
Per noi studenti della 5a E del Liceo Scientifico Nuzzi non ci sarebbe stato modo migliore per celebrare il settantesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo (D.U.D.U.), approvata il 10 dicembre 1948 a Parigi dall’Assemblea Generale dell’ONU, all’indomani della rovinosa Seconda Guerra Mondiale, che aveva visto le più degradanti violazioni della dignità umana. La nostra classe ha avuto l’onore di ospitare Padre Paolo Latorre, missionario in Africa da quattordici anni, di cui otto trascorsi al servizio dei bisognosi delle baraccopoli di Korogocho, prima di assumere il ruolo di economo provinciale a Nairobi. Il racconto di Don Paolo delle ingiustizie di un’Africa a noi nascosta dai media tradizionali, e da lui vissute e combattute in prima persona, ci ha resi consapevoli dei limiti che quella Dichiarazione, seppure universale, trascina con sé. Limiti che non appartengono ai suoi articoli, ma all’umanità intera, a cui è rivolto l’invito a impegnarsi per la sua realizzazione.
La Dichiarazione parla di uguaglianza, eppure – sostiene Padre Paolo – alcuni uomini sono “meno uguali” degli altri.
Ci racconta dei bambini soldato e di giovani di non più di venticinque anni a cui in tenera età è strappata via l’infanzia, della quale viene preservato il solo tipico atteggiamento infantile del non chiedersi il perché della realtà. I piccoli soldati, vittime di abusi psicologici e fisici, non si chiedono il perché quando vengono sottratti alle proprie famiglie e poi sottoposti a lezioni di carattere puramente nozionistico sul Corano, lezioni che tramite errate interpretazioni ne enfatizzano unicamente l’invito all’odio e alla violenza, mancanti di ogni contestualizzazione storica e culturale.
Padre Paolo ci racconta del dramma del mercato degli organi, per il quale esiste una vera e propria “banca”, che coordina il rapimento, “l’allevamento” e la conseguente uccisione di migliaia di bambini dell’età di circa quindici anni. Fortunatamente, ci dice, le opere di sensibilizzazione hanno avuto qualche riscontro nei recenti sforzi di repressione del fenomeno, le cui radici sono però molto profonde.
Analogamente, il mercato delle armi è il prodotto dell’ipocrisia e dell’ingiustizia dei Paesi occidentali, che indicono “missioni di pace”, le quali però non rappresentano un deterrente per le guerre tra i popoli africani, ma per situazioni innescate dagli stessi governi, e che minano i loro interessi economici e politici. D’altra parte, la repressione del mercato delle armi tramite la diminuzione della loro produzione rappresenterebbe un’ulteriore ingiustizia nei confronti delle migliaia di lavoratori e delle rispettive famiglie.
Dunque quali uomini sono “meno uguali” degli altri, e chi ne decide le sorti? L’uguaglianza non può essere sancita da un principio di libertà universale, che origina un meccanismo di reciproca violenza. Essa deve essere garantita da un insieme di diritti. La dichiarazione si propone questo scopo. Il mezzo per raggiungerlo siamo noi, proprio noi occidentali, che spesso non ci sentiamo parte del problema, ma possiamo invece davvero contribuire alla soluzione.
Tutte le nostre domande rivolte a Padre Paolo cominciavano con “Io ho sentito di…”.
—Padre Paolo, io ho sentito del dramma della colla a Nairobi. Potrebbe parlarcene?
E Padre Paolo spiega che la città di Nairobi, in Kenya, si è sviluppata negli anni settanta, che vi erano delle cave di pietra che sono state riempite di immondizia: rifiuti provenienti dalle famiglie più abbienti, rifiuti “ricchi” che hanno attirato a lavorarci coloro che li vedevano come un tesoro e un’opportunità. Dall’impossibilità di vivere costantemente tra gli odori della discarica è nato il fenomeno della colla, i cui barattoli venivano tenuti sotto il naso dagli sfortunati frequentatori. Recentemente la colla è stata sostituita dalla tina, puro benzene che viene inalato attraverso delle pezze, e che si rivela vantaggiosa sia per il minore ingombro sia per i suoi effetti “stupefacenti”, quali la riduzione di sonno e fame, nonché per l’aurea di virilità che caratterizza chi la porta al naso. L’esigenza di acquisto di questa “droga delle discariche” ne ha fatto sviluppare un mercato dedicato.
E ancora —Padre Paolo, cos’è il coltan e che c’entra con il Congo?
E Padre Paolo ci racconta che il coltan è un minerale, indispensabile per l’industria high tech e indispensabile nel processo di miniaturizzazione degli apparecchi elettronici. È un minerale molto raro, lo si trova in Congo e in poche altre zone dell’Africa, protagonista del business dello sfruttamento brutale del continente. Qui uomini, donne e bambini sono costretti dal potente di turno a estrarre il materiale e trasportarne carichi di trenta chili per chilometri nella giungla. Schiavi con una retribuzione ridicola, ma per loro meglio che nulla, ignari dell’esistenza di un documento che dovrebbe preservarli dallo sfruttamento e dal razzismo.
Io ho sentito di…
A noi fortunati capita solo occasionalmente di sentir parlare con brevi cenni dei drammi che Padre Paolo guarda ogni giorno con i suoi occhi. Dobbiamo sentire di più e dobbiamo sentire davvero, portare dentro di noi il peso della conoscenza delle problematiche che affliggono uomini a noi eguali e fratelli, impedendo loro di godere dei diritti che la Dichiarazione Universale vorrebbe garantire.