
Benedetto sia ogni regalo di Natale vissuto come un ponte di sentimenti autentici
È tempo di doni. È un dono già questo tempo.
Illuminato di luci e speranze, il periodo di Natale è bello di una bellezza che fa bene al cuore.
La frenesia dei regali e dei pranzi, la gioia di passeggiare sotto piogge di lampadine intermittenti, accanto ad abeti addobbati e vetrine luccicanti…tutto ha un fascino particolare e tutti vogliono fare Natale. Si, è un evento che ciascuno attende, ognuno a modo proprio, ognuno con emozioni e sentimenti differenti, ma lo attende.
Persino chi ha il cuore raggelato dalla tristezza e dalla povertà sa che è Natale.
Lo soffre, è vero: ci sono Natali freddi, senza amore, senza tavole imbandite, in focolari spenti dalla vita e dalle prove. Lì dove il dolore ha scavato ferite particolari, si fatica a fare Natale, anzi il giorno di “festa” diventa un fardello di ricordi capace solo di rinnovare sofferenze. A Natale si dovrebbe soltanto gioire, semplicemente gioire, e stare insieme alle persone che più si amano. Dove questo non avviene, si fatica anche a pronunciare la parola Natale.
Eppure nella coltre cupa delle situazioni difficili è possibile rintracciare una scintilla di positività: il Natale non è una festa qualunque, una ricorrenza messa lì a caso alla fine dell’anno solare e all’inizio dell’inverno. Il Natale chiede umanità e, lì dove questa manca, ne sottolinea l’assenza fino a scuotere la coscienza. Perché se è vero che in alcuni luoghi e in alcuni cuori non è festa, chi questa la vive deve (dovrebbe) pensare a curare quella parte di umanità povera, ferita, umiliata, allargando le tavolate e spalancando le proprie confortevoli abitazioni.
Si parla tanto e male del consumismo: esso è certamente una piaga della società contemporanea, che ha fatto dell’“usa e getta” uno stile di approccio a persone e cose; ma non si può ridurre semplicisticamente ad esso ogni abitudine odierna implicante lo spendere e il comprare.
Così una buona sensibilizzazione alla solidarietà come significato ultimo della festa del Natale non può passare solo e unicamente attraverso la condanna dei “regali”. Come, del resto, un’efficace azione solidale verso il prossimo non può essere arginata al periodo natalizio! «O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai», cantavano anni fa Jovanotti e Carboni…
Fare un dono per Natale a chi ci è caro è un’esperienza comune e bella, piena di sentimenti desiderosi di diventare gesti, profumata di attenzione e incisa di sacrificio. Sì, perché si tratta di denaro proprio, guadagnato, risparmiato, re-investito in qualcosa di, forse, evitabile, superfluo, in-utile. Già, in-utile: al di là dell’utile. Perché non tutte le cose della vita “servono nell’immediato”, soddisfano il “qui ed ora”, o la logica di un tornaconto, o la precisione dei calcoli.
Quando si ama, si è ciechi di fronte a ciò che va “perduto”, perché nella forza dei legami autentici nulla è veramente perso e ciò che è speso è sempre poca cosa rispetto all’amore sperimentato.
Per questo predicare contro il consumismo non può significare demonizzare le abitudini umane più genuine, perché ogni valore buono passa, deve passare nella carne, nella concretezza delle situazioni e delle relazioni e ogni proposta di sacrificio senza offerta di gioia porta gli scrupolosi a rinchiudersi nelle gabbie dei principi e i lassisti a percorrere la “direzione ostinata e contraria”, senza riflessione e solo per il gusto di contraddire.
Vanno incoraggiate la gratuità, l’attenzione, la gestualità, puntando all’effettiva capacità umana di aprirsi alle necessità altrui, qualcosa che viene più facile quando l’anima sperimenta la delicatezza di affetti autentici, coltivati a partire dalle piccole cose. Sicuramente si potrebbe obiettare un ottimismo un po’ utopico; forse sarebbe il caso di parlare di realismo, perché l’essere umano è capace di bene, ancora, nonostante tutto. Solo che per fare il bene, il bene vero, quello gratuito e fatto non soltanto per sentirsi bravi e utili, bisogna stare bene dentro, sperimentare pacificazione e positività.
Il Natale può diventare occasione di solidarietà maggiorata proprio a partire dall’eccezionalità dei doni ai propri amati cari. Lì, soltanto lì l’incoraggiamento a “fare qualcosa di più”, a “pensare anche a chi non ha niente” riecheggia come un invito meno moraleggiante e tocca una possibilità effettiva. Quando Maria di Betania versa un intero vaso di nardo, profumatissimo e prezioso, sui piedi del Maestro (cf Gv 12), l’arringa accusatoria contro lo spreco, in difesa dei poveri, è quella di Giuda, il traditore…lo stesso che avrebbe poi svenduto Gesù per poche monete. Lui, invece, lascia fare quella donna, con la serenità di chi sa godere della bellezza, del profumo, delle cose preziose, senza per questo togliere qualcosa ai poveri. Del resto Maria e Giuseppe fecero lo stesso con i doni dei Magi: dalla loro posizione di “genitori del Messia” e di poveri avrebbero potuto rivendicare una solidale sobrietà; invece accolsero oro, incenso e mirra con semplicità e stupore.
Per correre incontro alla povertà di chi non ha il necessario per vivere, occorre essere poveri in prima persona, poveri nel cuore, semplici, capaci di accogliere e donare a propria volta. E benedetto sia ogni regalo di Natale vissuto come un ponte di sentimenti autentici, perché lì può fiorire, spontaneamente o per generosa e paziente semina, il desiderio di aprirsi a doni ulteriori, maggiorati, solidali, nella consapevolezza che «donerete ben poco se donerete i vostri beni. È quando fate dono di voi stessi che donate veramente» (K. Gibran).
Buon Natale!