O festa dell’ipocrisia?
È tempo di presepi e tanti pensano a immagini luminose, atmosfere fiabesche e pensieri surreali. Il Natale con le sue immagini, luci, addobbi, presepi e alberi crea meraviglia, incanto e poesia, soprattutto per i bambini.
Il Natale è poetico, ma oggi rischia di diventare una bella favola. Staccando il Natale dal Vangelo, abbiamo dimenticato che il bambino, posto sulla mangiatoia, richiama l’uomo deposto dalla croce. Abbiamo dimenticato che l’infante, avvolto in fasce, richiama il crocifisso avvolto nel lenzuolo. Abbiamo dimenticato che il neonato, nato in una grotta non sua, richiama l’uomo immerso nel sepolcro, tomba anch’essa di non sua proprietà. L’abiezione di un Dio che nasce richiama lo scandalo e l’annientamento del re dei giudei sul legno più infamante.
Il Natale, lontano dal Vangelo, non ci fa comprendere che la nascita di quel bambino è il rifiuto di un Dio che viene ad abitare tra la sua gente e non sarà accolto, preludio del Messia rifiutato dal suo stesso popolo. Basta leggere il Vangelo per comprendere che, nel nome di quel bambino, nato a Betlemme, verranno uccisi tutti i bambini fino a due anni, per fare piazza pulita di tutti i potenziali messia che attentano al potere precostituito; così saranno perseguitati tutti coloro che portano il messaggio di Cristo al mondo. Strano celebrare il primo martire, santo Stefano, il primo giorno dopo il Natale, in una atmosfera di poesia. Strano celebrare san Giovanni, il 27 dicembre, colui che pone il capo sul petto di Gesù, il giorno del suo tradimento, e che di lí a poco lo vedrà morire in croce. Strano celebrare il 28 dicembre i martiri innocenti, uccisi a Betlemme, testimoniando con il sangue la loro innocente testimonianza. Il rosso, in quei giorni, non è quello di babbo Natale o della coca cola che il consumismo ci spinge ad usare da decenni, ma quello di chi, nel nome del Signore, viene ucciso. Verrebbe da chiedersi: ma stiamo festeggiando il Natale o, come prima dell’Incarnazione di Gesù, la festa dell’inverno, il 25 dicembre, già presente nell’antica tradizione pagana?
Anche per la festa dell’epifania, l’oro offerto al bambino parla del re, ma del re dei giudei appeso sul legno, uomo ma anche Dio, simboleggiato dell’incenso. Nel bambino, a cui si offre la mirra, unguento per il quale si ungevano i morti, si intravvede il prezzo del suo sacrificio.
Ci sarebbero migliaia di cose da aggiungere per considerare l’inutilità del consumismo che nulla ha a che fare con il Natale, ma credo che basterebbe semplicemente porsi in ascolto di quella Parola che si è fatta carne, per poter comprendere come il vero dono sia la carne fragile del Figlio di Dio, fatta propria da Gesù, per renderci figli di Dio, fratelli in Cristo e figli dello stesso Padre.
Questo è il Natale di Gesù. Il resto, separato da tale mistero d’amore, potremmo chiamarlo semplicemente, appellandoci alla coerenza del cuore, “festa dell’ipocrisia”.