Rischia di diventare il dubbio amletico di molti quindicenni, chiamati ad una scelta nel prossimo mese.

Il sibillino motto di casa Salina “tutto cambia affinchè nulla cambi” echeggia dai tempi dell’unificazione d’Italia fino ai nostri giorni. Mentre la scuola diventa digitale, gli acronimi DAD e il Covid impazzano (ai miei tempi, da studente, chi avrebbe mai pensato di poter studiare da casa, avevo uno zaino più grande di me!), giunge ancora una volta il tormentone della scelta della scuola superiore.

La politica prova ad interpretare delle soluzioni, giuste o sbagliate che siano, per poter tornare alla scuola che conosciamo. Si tornerà fra i banchi, ma sarà come prima? Spero vivamente di no. Perché è il cambiamento la dimostrazione che il nostro operato serva a qualcosa.

La razza umana è stoica e, come la storia ci insegna, passerà attraverso questo periodo di crisi economica, di Covid, cosa ci spaventa di più? Si scriverà a riguardo, della grande depressione economica dovuta al Covid o della grande pandemia che ha ucciso milioni di persone? In qualunque modo lo racconteremo, sarà la storia che studieranno i nostri figli e nipoti.

Cosa lasceremo loro? Una cura, un pianeta più pulito, o gli strumenti affinchè possano farlo da soli, se lo riterranno più opportuno? L’istruzione. Il dibattito politico sulle modalità di fruizione della scuola in questo periodo sta focalizzando l’attenzione dei media e distoglie da ogni tipo di discorso a latere. Ma l’istruzione non è un oggetto politico o di propaganda. Quanto la politica crede in questo concetto è chiaro già a tutti gli elettori (vero?), considerando tutto quello che non è stato fatto in tutti questi anni di non pandemia per l’istruzione.

In questo fluire, tutto è in cessante mutazione, ma tutto torna sempre uguale. E per quelli che non decidono in nome degli italiani, ma che italiani lo sono e basta, non rimane che continuare a fluire col tutto. Si perchè lock-down o meno, il tempo scorre, e l’anno prossimo guarderà la carta di identità dei ragazzi (o chiederà loro l’autocertificazione) e gli dirà che è tempo di iniziare la scuola superiore. Esattamente come questa estate ha ricordato ai colleghi più grandi che a diciotto anni si è maturi e gli esami devi farli, anche se ti sei perso sei mesi di lezioni.

Il mondo del lavoro vuole così. Perché il servizio di leva era un anno di ritardo per chi si presentava al mondo del lavoro oltre i 25 anni. E allora aboliamolo. Così poi avremo tutti ingegneri che non sapranno allacciarsi le scarpe da soli. Formati sì, ma adulti davvero?

E allora fa niente che non si è potuto, per causa di forza maggiore si intende (cfr. Covid), vivere la scuola in presenza. Quest’anno scolastico “s’ha da fare”, hanno decretato (chi? La politica? Il mondo del lavoro? C’è differenza?). Certo non era stata la peste a non far sposare Renzo e Lucia, ma tra pestilenza e pandemia, converrete che la differenza è sottile, in senso metaforico.

La nostra è forse una reazione? E allora distraiamoci, facciamo finta che nulla accada e parliamo di quello che verrà, del futuro. Forse ci aiuterà a superare il momento.

Ragazzi e genitori alle prese con la scelta del percorso di studi per i prossimi anni. Le preiscrizioni da fare e il solito penoso momento per i più giovani di scegliere. Poveri ragazzi!

Quando non si hanno le idee chiare, qualsiasi consiglio sembra quello giusto, ma tanti confondono. Il problema non è nei fatti, ma mediatico. Come se scegliere il percorso di studi sia oggi il problema, o lo sia mai stato.

La scelta della vita, da cui dipende il futuro lavorativo. Questa scelta, bada bene, la devi fare a 15 anni (scusa ma non si è maturi a 18).

Quelli che vanno bene in matematica o italiano, avranno avuto consigli per i licei. Si, perché ci sono le materie più scientifiche. Vuol dire che sono portati per i ragionamenti “astratti” o hanno buona memoria. Allora che ben vengano i licei, che daranno una preparazione più affine ai primi anni di università. Ci saranno più prospettive per il futuro.

Poi ci saranno quelli che hanno la sufficienza, quelli bravini. Quelli che non si sa perché in una o due materie sono eccellenti e poi crollano nelle altre. Sono quei ragazzi più concreti, quelli che hanno bisogno di unire alla teoria, la pratica. Che non gli basta sentir parlare di una roba tecnica, di come funzionano i computer o cose così, ma devono smontarsi il motorino e perdersi qualche vite per vedere come funziona. Assemblare il PC da soli e circondarsi di un milione di cose inutili, che una volta capito come funzionano diventano noiose. Per loro gli istituti tecnici. Sono quelli che hanno forse le idee più chiare, l’offerta formativa degli istituti tecnici è ormai capillare, la loro dislocazione geografica un po’ meno, soprattutto nei piccoli centri abitati e al sud. Ma non è mica un problema prendere l’autobus e fare i pendolari al giorno d’oggi…o sbaglio?

Infine ci sono loro. Quelli un po’ più distratti a lezione, croce dei docenti e delizia dei compagni di classe. Ci sono in tutte le classi e, per fortuna, ci saranno sempre. Non gli è mai andato di stare sui libri. Perché hanno una memoria visiva o hanno ben altre facoltà più sviluppate, di quelle che i banchi di scuola non possono esaltare (ma adesso con le rotelle magari le cose cambiano). E allora in classe sono distratti. Poi, chissà perché, sono quelli che i genitori mandano subito “a lavorare” dal barbiere, in campagna o dal maestro di bottega. E lì, bravissimi e diligenti. Ragionare non fa per loro, ma vista una cosa la sanno ripetere alla perfezione. Più la fanno, più diventano bravi. Capacità cognitive diverse da quelle di chi invece è più portato per il ragionamento. Non è una malattia, solo una caratteristica. Li ritrovi mentre quelli bravi dei licei sono ancora all’università che hanno una piccola azienda con il papà, e poi assumono i primi.

Perché queste notizie sono oggetto dei giornali e dei notiziari? Perché vende è chiaro. E perché vende? La verità è che gli adulti invidiano i ragazzi in questa fase. Perché solo adesso, da genitori, saprebbero bene dire cosa gli piace fare e…a poter tornare indietro!

Noi adulti, gente nostalgica che adesso vorrebbe consigliare per il meglio. Pensando che dieci o quindici anni siano domani.

E invece no, sono fra dieci o quindici anni, quando il Covid sarà scritto sui libri e quando esisteranno lavori che oggi neanche conosciamo.

Il consulente è il lavoro più gettonato nelle sue forme. Aggiungiamo alla parola consulente una qualsiasi altra categoria vicino (marketing, process, business, technical, perché l’inglese, si sa, fa trend) e diventa un esperto in uno specifico ambito che viene pagato a prestazione da ogni azienda.

Sono quei professionisti che si sono specializzati, per passione o fortuna, in un ambito ben preciso del mercato e hanno fatto della loro specificità un mestiere. Perché? Perché evidentemente non ci sono scuole che sfornano persone con le sue competenze. Nessuno le insegna a scuola, fanno esperienza e ora la vendono.

La rivoluzione digitale ha creato una condivisione del sapere che ha creato e creerà posti di lavoro ad oggi non pensabili. “Molte persone provano a cambiare la natura degli uomini, ma non puoi cambiarla. Quello che puoi cambiare sono gli strumenti che usano. Cambia le tecniche, allora cambierai la civiltà. Allora avrai fatto la rivoluzione”. Questo l’ha detto Stewart Brand, nessuno in particolare, solo il mentore di un certo Steve Jobs.

Anche il Covid, a modo suo, sta facendo la rivoluzione, sta cambiando le tecniche e faciliterà l’emergere di nuovi lavori, creerà l’esigenza per nuove figure professionali.

Non esiste la scelta giusta o la scuola migliore. L’istruzione non è solo riconducibile a quel diploma a fine dei 5 anni. Si, le aziende e i dirigenti hanno catalogato fiumi di studenti in base a quei pezzi di carta (poveri loro!). Processi di selezione fatti sulla base di quei diplomi. Se non hai almeno 100 e lode non ti prendono neanche in considerazione. Vero. Non è colpa dei ragazzi che hanno preso un 90, ma di chi seleziona con questi paletti. Quei dirigenti ai loro tempi, hanno dovuto cercare lavoro in questo modo? O hanno avuto la fortuna di vivere in un’epoca più umana, dove qualcuno li ha messi alla prova per più tempo prima di capire che avevano la stoffa.

Nulla è riconducibile ad un numero o ad un momento, o non dovrebbe esserlo, ma è tanto più facile e veloce!

Non lo è per i ragazzi, che a prescindere dall’indirizzo che prenderanno, impareranno cose nuove, si interfacceranno con altri ragazzi, con docenti e, comunque, impareranno non solo nozioni nuove, ma a conoscere sé stessi. Per arrivare poi a capire cosa gli riesce bene. E se sarà far ridere la gente, siatene felici, perché non si insegna a scuola e poi, vedete anche voi quanto guadagnano i talent show!

Non lo è per coloro che vi assumeranno nel futuro. Non assumeranno un numero, ma una persona, con un bagaglio di esperienze. Se non si prenderanno il tempo per conoscervi e capire se fate al caso loro e della loro azienda, assumeranno tanti 100 e lode. E quando avranno in ufficio solo di 100 e lode? Chi sarà il più bravo?

Non sono concetti nuovi. Sono il minimo comune multiplo di ogni società. Come gli slogan pre e post Covid. Tutto ci cambia, tutto ci ha cambiati, ma sembra che alla fine nulla cambi.


Fonte(foto: DKosig via Getty Images)
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Nicola Pistillo, 29 anni, all´estero da 3 anni e con alle spalle esperienze come l´erasmus. Guardo all´Italia con nostalgia con un giorno la voglia di tornare. Ingegnere meccanico e prossimo al conseguimento di un MBA, questo il mio background culturale, il filtro attraverso cui vedo le cose. L´estero é una palestra di vita, insegna, mostra cosa si può migliorare anche nel proprio Paese e cosa invece ci rende davvero Italiani. Testardo quanto basta, curioso, ordinato nel mio disordine. Innamorato del caffé, dello sport e della Nazionale, che spero ci faccia sognare!