Reportage in 3 puntate alla scoperta delle esperienze di chi, per motivi diversi, ha scelto di lasciare l’Italia per trasferirsi in America. La prima storia è stata quella di Marianna da Los Angeles. E’ volta ora di Federica da New York.

“Quando arrivi a New York, ti sembra di essere in un film. Però quando ti ritrovi a fare i conti con la vita reale, scegliere se rimanere o tornare a casa è davvero difficile.”

Comincia così il racconto di Federica, siciliana di Adrano, un paesino di trentamila anime alle pendici dell’Etna. Dopo aver conosciuto ed essersi innamorata di Dwaynn, un militare Americano di stanza a Sigonella, ha deciso di seguirlo e trasferirsi a New York. Adesso sono sposati, hanno una bellissima bambina e aspettano gli ultimi documenti per la cittadinanza.

Federica vuoi raccontarci com’è cominciata la tua storia? Com’è stato l’impatto con New York?

Sono partita inizialmente con un visto turistico trimestrale. New York è una città bellissima che personalmente mi ha shockata: per me, che vengo dalla provincia di Catania, è stato come essere in un film e il primo mese l’ho passato a visitarla tutta. Vivevamo a casa dei genitori di Dwaynn, poi di comune accordo, abbiamo cominciato a programmare la nostra vita insieme. Dwaynn ha lasciato l’esercito e ha cominciato a lavorare come esperto informatico a Manhattan ed io mi sono messa alla ricerca di un lavoro per arrotondare.
Non conoscendo la lingua, non riuscivo a trovare nulla, ma il fatto di essere italiana mi ha aiutata molto perché qui siamo ben voluti. Ho lavorato un po’ come hostess in alcuni ristoranti italiani, ma mi sentivo un corpo estraneo. Ci sono stati momenti in cui volevo davvero chiudere l’avventura e tornarmene a casa.

Poi cosa è successo?

Ovviamente Dwaynn mi ha incoraggiata e così ho deciso di iscrivermi a un corso di lingua. Questo mi ha permesso di ottenere un visto per studenti di 5 anni, che mi permetteva sia di rimanere negli States che di tornare a visitare la mia famiglia in Sicilia. Ho continuato a lavorare, come cameriera questa volta: 14h al giorno, ma tra stipendio e mance riuscivo a portare parecchi soldi a casa.
La mia vita è cambiata quando io e Dwaynn abbiamo deciso di sposarci: subito dopo il matrimonio ho ricevuto il numero di previdenza sociale, che mi ha permesso di poter cercare un lavoro migliore e cominciare a far carriera.
Quando ho cominciato a padroneggiare la lingua, ho trovato lavoro in un negozio di ottica e ho finalmente cominciato a intravedere un futuro per me qui a New York.

Com’è la vita a New York? Avete mai pensato di cambiare città?

Competitiva. Tutto gira intorno ai soldi a New York: già solo per ottenere il visto, devi dimostrare di poterti mantenere permettendogli di controllare il tuo conto corrente. Gli affitti sono molto costosi e le spese per sopravvivere anche. Gli ambienti lavorativi non sono sereni, perché tutto è visto come una gara. Pochi datori di lavoro ti concedono l’assicurazione sanitaria ed è una cosa di cui non puoi fare a meno. E sul lavoro hai degli obiettivi di vendita giornalieri e settimanali che sei obbligato a rispettare, altrimenti “You’re fired!”. Vieni licenziato. Il vantaggio è che mentre in Italia non potresti vivere con un lavoro da commessa, qui hai degli incentivi sulla vendita, oltre al salario fisso, che ti permettono di ricevere buoni bonus che aiutano molto.
Non esiste, per esempio, la pausa per la maternità: quando ero in attesa di mia figlia Asia, ho lavorato fino all’ottavo mese, poi ho dovuto licenziarmi. Sono tornata a lavorare 3 mesi dopo il parto, perché era necessario. Nel frattempo però, grazie ai miei risultati, ero diventata manager nel negozio di ottica e questo mi ha permesso di fare colloqui come manager per altre aziende, senza dover ripartire da zero.
Adesso sono manager a C21, un grande magazzino paragonabile alla nostra Rinascente, abito a Rego Park – nel Queens, a 15 minuti di metro da Manhattan – e sono anche abbastanza vicina a casa per poter tornare in caso di emergenze legate a mia figlia, che ha solo 6 mesi.
Sto pensando di cambiare ancora lavoro, perché il retail è davvero molto stressante e mi toglie tempo da dedicare alla bambina: in pratica lavori quando tutti gli altri non lavorano. Ma per ora mi tengo questo perché le spese sono altissime. Un affitto costa intorno ai 2000 $ a cui vanno aggiunte le utenze e tutte le spese per sopravvivere. C’è un detto che è molto vero: “se riesci a vivere a New York, riesci a vivere ovunque”.

Sul cambio di città ci pensiamo ogni giorno: ci piacerebbe andare in Florida, in North Carolina o in alcune parti della California. Sappiamo che con quello che paghiamo qui per un piccolo appartamento, lì vivremmo in villette unifamiliari piene di comfort. Ma non escludiamo neanche un ritorno in Sicilia: mio marito guadagnerebbe molto di più lavorando a Sigonella come informatico ed io potrei dedicarmi interamente a nostra figlia. A New York rischi di dimenticare cosa è importante: sei talmente preso dalle diverse situazioni che rischi di accantonare la famiglia. Per nostra figlia vorremmo un futuro meno duro di questa città.

È stato difficile trovare un nuovo lavoro e ricominciare dopo la maternità?

Trovare lavoro no, ci ho messo un giorno. Ho fatto qualche applicazione online e il giorno dopo avevo già sette offerte di lavoro. Il vero problema è stato staccarmi da mia figlia, ma sono fortunata perché mio marito ha la possibilità di gestirsi il suo tempo o lavorare da casa, quindi può capitare che vada in ufficio anche in tarda mattinata e questo ci aiuta molto. Un’altra fortuna che ho è quella di essere moglie di un reduce militare: a marzo andrò in una jobfair, una fiera del lavoro dedicata proprio agli ex militari e alle loro famiglie.

Che ne pensi dell’elezione di Donald Trump? Come la vivi?

Siamo un po’ preoccupati. In realtà qui hai tanti attori attivi nella vita politica, quindi il Presidente non può fare come vuole. Un esempio è il muslim-ban, bocciato da alcuni giudici.
Il problema non è Trump in sé ma i suoi sostenitori, e sono tanti, che si sentono liberi di esprimere sé stessi solo perché hanno gli stessi pensieri del presidente. Gli USA sono un mix di culture e reprimere anche una sola di queste culture significa togliere un pezzo importante a quello che sono gli Stati Uniti. Questa cosa ci tocca da vicino perché mio marito è di colore e il razzismo latente dei sostenitori di Trump sta cominciando ad avere libero sfogo. Questa cosa non va affatto bene.

Ultima domanda da un milione di dollari. Rifaresti tutto? E cosa consiglieresti a chi vuol trasferirsi a New York?

Si, assolutamente rifarei tutto. A chi vuol trasferirsi consiglio di non cominciare da una città come New York, ma da realtà meno stressanti. Ho conosciuto molti italiani che qui non resistono, a meno che non si sia laureati e pronti a rivestire posizioni ben più rilevanti della cameriera. Se proprio si vuol tentare, meglio venire per un paio di mesi, rendersi conto e valutare bene, tenendo ben presente che il lavoro nero qui è considerato un reato molto grave e che servono molti soldi per restare a New York.