Reportage in 3 puntate alla scoperta delle esperienze di chi, per motivi diversi, ha scelto di lasciare l’Italia per trasferirsi in America. La prima storia è quella di Marianna da Los Angeles.

Chi di noi non ha mai pensato “lascio tutto e vado a vivere negli Stati Uniti”. A chi non piacerebbe calcare l’asfalto della celebre route 66, ammirando i panorami raccontati da Kerouac, o lasciarsi ammaliare dalle luci di New York, dal glamour di Los Angeles o dalle spiagge bianche di South beach a Miami.

Eppure l’America non è solo questo. È uno Stato molto selettivo, che accoglie migliaia di lavoratori ogni anno ma secondo regole molto ferree a cui “non ha senso venir meno”, ci racconta Marianna.

Marianna è di Bari e ha vinto la green card (modo comune per indicare il Diversity Visa Process), ovvero un permesso di soggiorno permanente che ogni anno permette a 50000 persone di poter lavorare negli Stati Uniti.

Marianna da quanto tempo sei in America? Dove ti trovi?

Sono arrivata ad ottobre 2015. Ci ero già stata perché qui vive la mia famiglia, ma non potevo rimanere più di 3 mesi perché non ho passaporto americano. Nel 2013 ho partecipato alla lotteria della green card e ho vinto un permesso di soggiorno per poter lavorare qui, ma l’iter per ottenere tutti i permessi e documenti è molto lungo.
Attualmente vivo nella contea di Los Angeles, dai miei nonni, a Rosemead. Circa 15 minuti senza traffico da Los Angeles, 3 ore col traffico.

Che lavoro fai? Com’è il tenore di vita? Conviene lasciare il lavoro in Italia per trasferirsi in California?

Attualmente ho due lavori. Durante il giorno sono commessa da Macy’s, una catena di abbigliamento paragonabile a Zara o H&M. Quando finisco, lavoro come receptionist in una struttura paragonabile a una casa di riposo in Italia.
La California è uno degli Stati più cari degli Stati Uniti, soprattutto al sud, perché ambita per il clima mite presente tutto l’anno: gli appartamenti hanno costi altissimi ed anche le tasse hanno aliquote maggiori rispetto al resto del paese. Obiettivamente per chi come me fa la commessa o la receptionist, è molto difficile mettere soldi da parte, pensare a un progetto di vita. A livello economico non è molto diverso dalla situazione che vivevo in Italia, dove pagavo un affitto, le utenze e potevo permettermi pochi lussi.
Se si vuol puntare a vivere qui, bisogna ambire a lavori un po’ più remunerativi, perché col salario base di 10,5 $ l’ora, è molto difficile. Io sono fortunata perché vivo dai miei nonni e qualcosa riesco a risparmiarla ma, per fare un esempio, io attualmente guadagno tra i 1800 e i 2000 dollari al mese: se volessi andare a vivere da sola, in una zona decente, senza avvicinarsi troppo a Los Angeles – perché nell’hinterland i prezzi sono più bassi, magari in un monolocale con uno studio, pagherei circa 800/900$ al mese d’affitto. Impossibile per chi lavora al minimo salariare.

Marianna tu vivi in uno Stato a forti tinte democratiche. Come viene vissuta dalle tue parti e sul posto di lavoro, l’elezione di Donald Trump? Ci sono ripercussioni particolari?

Subito dopo le elezioni ci sono state parecchie manifestazioni a Los Angeles. Scherzando con mio zio, che è poliziotto, gli ho detto che Trump gli ha fatto guadagnare subito qualcosa per gli straordinari.
Tutta la mia famiglia è repubblicana ed hanno votato Trump non del tutto soddisfatti del candidato, ma tra Hillary Clinton e Trump, per loro è meglio Trump. Perché Hillary qui è considerata colpevole di diversi misfatti: la ritengono una ladra, una bugiarda e con le mani in diversi affari sporchi tra cui anche omicidi di suoi oppositori politici. Una sorta di Andreotti a stelle e strisce. In più, secondo loro, avrebbe preso soldi da paesi ritenuti sconvenienti per gli Stati Uniti.
La maggior parte delle mie colleghe sono donne e ovviamente non sono contente perché ritengono Trump un sessista, antiabortista e in più lui si è imposto quasi come un dittatore. Un’altra fetta importante dei miei colleghi è di origine messicana ed anche per loro non sono tempi facili. Poi sul lavoro non si parla molto di politica.
Ora la discussione verte molto sul Muslim Ban, con lui che ha vietato l’ingresso ai cittadini di 7 nazioni – le stesse nazioni a cui era precluso già l’ingresso tramite green card – senza includere in queste nazioni l’Arabia Saudita, il paese da cui provenivano gli attentatori dell’11 settembre. La mia impressione è che lui faccia molti proclami verso la pancia della gente, ma pensi soprattutto ai fatti suoi. Infatti, appena eletto Presidente, come prima azione internazionale ha chiesto ai politici del Regno Unito di non piazzare pale eoliche vicino al suo campo da golf.
Per me non durerà più di due anni, perché qui il passo tra l’essere Presidente e l’impeachment è davvero molto breve.

Marianna, alla luce di quanto ci hai raccontato, ne è valsa la pena trasferirsi in America? Torneresti in Italia? Cosa ti sentiresti di consigliare ai nostri coetanei che vorrebbero lavorare negli Stati Uniti?

Onestamente io in Italia non tornerei per tanti motivi: nell’ambito lavorativo ci sono solo piccole realtà che non ti permettono di crescere professionalmente, mentre qui se lavori onestamente e ti impegni puoi ambire a diventare manager. È vero che non navigo nell’oro, ma da Macy’s, nonostante non sia il mio campo, ho cominciato come stagionale ed hanno fatto di tutto per tenermi. Nel momento in cui ho comunicato al mio manager che quello non è il mio campo, che vorrei tornare ad occuparmi di turismo (quello che facevo in Italia), loro mi hanno incoraggiato e chiesto di restare, perché per loro il lavoratore dipendente è davvero una risorsa su cui investire. Mi hanno promesso che se continuo così potrei ottenere una promozione ed effettivamente una l’ho già ottenuta, quando sono passata da commessa “tuttofare” ad un reparto specifico. Ti faccio un altro esempio: alla casa di cura mi hanno aumentato lo stipendio senza che io chiedessi niente. Ora, quante volte in Italia siamo costretti a chiedere l’elemosina ai nostri datori di lavoro?
Quando assumono una persona, la prima domanda che ti fanno è “come ti vedi tra uno, due o tre anni?”. E per quanto riguarda l’età, mentre in Italia a 30 anni sei considerata vecchia, qui ti dicono che sei nell’età giusta per iniziare una carriera, perché ti ritengono più concentrata su te stessa, sui tuoi obiettivi e quindi sul lavoro.
Se uno vuol venire qui, non deve assolutamente avere un atteggiamento mediocre. Il lavoro si trova, ci sono possibilità di carriera, ma devi impegnarti. Perché al minimo salariale non si vive per niente bene e se in te non vedono una possibilità di crescita ti licenziano, assumono un altro ed è davvero difficile ricominciare.