L’Europa, una rivoluzione silenziosa

«Mi ha chiamato Meloni per smentire: non è vero, tra me e Musk non c’è niente, lo giuro sulla mia Tesla»

(Roberto Benigni)

Avevo pensato di scrivere questo caffè su quanto è successo mercoledì scorso, due giorni prima che iniziasse la primavera.

Non lo farò. Non esplicitamente, intendo.

Alle dichiarazioni del premier Meloni sul “Manifesto di Ventotene” ha già risposto, con incredibile tempismo, il monologo di Benigni, la sera stessa della fin troppo virale polemica sorta tra i banchi del Parlamento.

Non commenterò neanche Benigni. Altri hanno già dato. Non mi piace seguire il gregge.

Peraltro, se dovessi scrivere pubblicamente al Presidente del Consiglio Meloni, non saprei fare neanche un decimo di quanto ha mirabilmente illustrato ieri, proprio su Odysseo, la prof.ssa Roberta Di Canio, che è docente di storia e filosofia: della sua lettera consiglio vivamente la lettura, questo sì.

Allora ho pensato di richiamare il mito di Europa. Magari questo non è noto al grande pubblico.

Magari servirà a farci riflettere sul perché e come siamo nati, fino a diventare cittadini europei: quello che oggi noi tutti siamo.

Europa era la figlia di Agenore, re di Tiro, un’antica città fenicia. Zeus, il re degli dei, si innamorò perdutamente di lei e decise di trasformarsi in un toro bianco per avvicinarla. Europa, affascinata dalla bellezza del toro, si avvicinò e tentò di cavalcarlo. A quel punto, Zeus la rapì e la portò attraverso il mare fino all’isola di Creta.

Dall’unione tra Zeus ed Europa nacquero tre figli: Minosse, che divenne re di Creta; Radamanto, che divenne giudice degli inferi; e Sarpedonte. Europa sposò poi Asterio, il re di Creta, che adottò i suoi figli.

Il mito di Europa ha ispirato numerosi artisti e scrittori. Viene comunemente interpretato come illustrazione simbolica dell’espansione e dell’influenza della cultura greca nel Mediterraneo.

Mi pare possa contenere anche altro: ad esempio, rappresenta l’incontro interculturale tra la civiltà fenicia e quella greca, due mondi distanti e incomunicabili che si uniscono. Europa, strappata contro la sua volontà dalla sua patria, ottiene asilo in una nuova terra dove riesce a ricostruirsi un futuro, diventando persino regina di Creta.

Ecco, magari il mito di Europa può essere letto come una magnifica allegoria, quasi a ricordare a tutti noi che l’Europa, al di là e oltre ogni strappo, ogni ratto, ogni azione di violenza, ha trovato nell’integrazione e nell’accoglienza, nella pace e nella democrazia i suoi valori fondamentali.

Gli stessi sognati in quel di Ventotene da alcuni giovani che hanno rinunciato alla propria libertà personale per difendere quella di tutti noi.

Si chiamavano Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni.

E io sono grato e fiero di potere dire che sono cittadino italiano ed europeo: proprio come loro avevano sognato. Come la loro profetica visione aveva previsto.

Ho scritto, una volta, di “donne e incapaci”: ora mi sta venendo in mente che vorrei mandare in Erasmus qualcuno dei nostri governanti. Ma non vi dirò chi!

Per chi non avesse avuto modo di ascoltare Roberto Benigni, mercoledì scorso: «L’Unione Europea è un progetto, un ideale, una speranza, una sfida, un sogno, e soprattutto è un caso unico nella storia dell’umanità: la sola volta in cui Stati sovrani decidono liberamente in pace di unirsi, un colpo di scena della storia, una rivoluzione silenziosa che può trasformare il mondo».

Attenzione, però. Benigni ci ha anche lasciato un monito: «Il cammino non è concluso, nella storia dell’Europa la cosa rarissima è la pace: basta che spuntino problemi perché risorga il nazionalismo, che nella storia ha provocato milioni di morti, è il carburante di tutte le guerre, è una fede integralista, un’ossessione per la nazione al di sopra di tutto, anche di Dio, è una malattia, che si maschera da patriottismo, non lo confondete mai. Lo dico io che sono il più grande patriota e amo l’Italia come la mia mamma. Il nazionalismo odia invece il mondo, il suo motore è la paura e vuole che abbiamo paura tutti noi».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

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