
Non è mai abbastanza raccontare le origini, le ragioni, le vittorie e i fallimenti…
Cos’è l’Europa?
è una domanda a cui non si può rispondere con precisione assoluta, almeno dal punto di vista ideologico. Federico Chabod ha dedicato una monografia alla storia del concetto d’Europa chiedendosi come e quando i nostri avi hanno acquistato la coscienza di essere europei.
Un percorso arduo, complesso, che ha fatto tante volte a pugni con i nazionalismi.
Qualche giorno fa Giorgia Meloni è intervenuta alla Camera per contrapporsi al distinguo della Lega sul ReArm Europe, il progetto di investimenti che l’Unione Europea sarebbe pronta a sostenere per la difesa comune. Siamo ad una svolta decisiva del percorso europeo, a maggior ragione dopo che Trump ha fatto capire che l’impegno americano in Europa non è più prioritario.
La tensione in aula era di per sé già alta, ma il Presidente del Consiglio, ad un certo punto, ha letto alcuni passi del Manifesto di Ventotene affermando che l’Europa delineata da quel testo non è certo la sua.
Non è questa la sede per riportare la cronaca di quanto avvenuto.
Da tempo si avverte una certa disaffezione nei confronti delle istituzioni europee, del progetto Europa, percepibile anche a partire dalle scelte degli elettori europei che in molti paesi hanno svoltato su politiche antieuropeiste e fortemente nazionaliste. In Germania, non a caso, si registra la poderosa quanto mai allarmante crescita dell’ADF, Alternative für Deutschland, che aveva già vinto in Turingia.
Giusto per fare un esempio eloquente.
Qualche mese fa Euronews e Ipsos hanno diffuso i dati di un sondaggio che indica le percentuali di gradimento degli intervistati europei sull’importanza di appartenere all’Unione Europea. L’80% degli intervistati spagnoli e portoghesi hanno affermato che essere parte di questa idea, citando Chabod, è una cosa positiva. Solo i cechi, al di sotto del 50%, non ritengono opportuno appartenere all’Unione, mentre per gli italiani soltanto poco più della metà afferma che è proficuo farne parte poiché “la popolazione (italiana) ha avuto la sensazione di essere passata dal sentirsi vincitrice nel processo di integrazione europea al sentirsi perdente”.
In Italia, forse, si avverte la necessità di una narrazione diversa sulle vicende che portarono alla nascita delle istituzioni europee, ricordare origini e sviluppi.
Tutto era iniziato con tre politici confinati su un’isola del Tirreno, i cui nomi sono stati rispolverati anche grazie all’intervento di Meloni, almeno in questo va dato merito al nostro Presidente del Consiglio.
Un testo programmatico, il loro, che delineava i principi di un’alleanza europea di Stati, un processo che avrebbe eliminato la parola guerra dal vocabolario diplomatico europeo.
È necessario ricordare ogni volta questa storia? Credo proprio di sì, credo che di dovrebbe rievocare l’opera dei padri del processo europeo, De Gasperi, Adenauer e Schuman, coloro che hanno capito che soltanto attraverso un’unione tra popoli europei ci sarebbe stata una pace duratura sul Vecchio Continente, condividendo gli uni gli altri le risorse fondamentali. La CECA, la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, fu il primo atto di coraggio, l’antesignano della Comunità Europea che nacque a Roma con i Trattati del 1957. Questa idea di pace che inizialmente raccoglieva soltanto i sei Stati fondatori – Italia, Germania, Francia, Olanda, Belgio e Lussemburgo – riuscì ad integrare Gran Bretagna, Danimarca (1973), Grecia (1982), Spagna e Portogallo (1986). Divenne l’Europa dei Dodici, poi quella dei Quindici con l’ingresso di Austria, Svezia e Finlandia (1995) che intanto aveva operato l’ontologica trasformazione in Unione Europea, sancita dal Trattato di Maastricht (1992).
La caduta della Cortina di Ferro ha aperto le porte dell’Unione Europea ai Paesi dell’Est europeo. L’ultimo stato ad aderire all’Unione è stata la Croazia, mentre nel 2016 la Gran Bretagna con un referendum ha deciso per l’uscita da Bruxelles, stabilizzando a ventisette il numero degli Stati membri.
Dobbiamo fare memoria dei giorni nefasti della seconda guerra mondiale, quando l’Europa ha rischiato di cadere nell’ombra del totalitarismo. Serve una narrazione sull’Europa, sul senso di appartenenza che è venuto a mancare in questi anni, ricordarsi che tutte le iniziative del secondo dopoguerra sono state messe in atto per evitare un’altra sanguinosa guerra, per rendere francesi e tedeschi alleati, artefici della costruzione di un futuro comune, di confini condivisi e non contesi. Abbiamo bisogno di raccontarcelo continuamente, di mettere in atto una storytelling sull’Europa. È necessario per noi cittadini, per le stesse istituzioni europee che nel breve tempo hanno ottenuto più insuccessi che vittorie. Il naufragio del progetto della Costituzione europea, la crisi economica della Grecia, la Brexit e il ruolo secondario dell’Unione Europea nel contesto della guerra in Ucraina hanno evidentemente indebolito le istituzioni.
Bisogna educare all’Europa, rafforzare il concetto di cittadinanza europea a partire dalle scuole, richiamare l’importanza storica delle scelte operate dai vari Spinelli, Rossi, Colorni, uomini che hanno tracciato una via che è stata perseguita dai padri fondatori dell’Europa.
È tempo che l’Europa assuma consapevolezza del proprio ruolo.
La sfida è stata lanciata proprio da chi pensavamo essere il nostro miglior alleato, che forse tra qualche anno tornerà indietro sui suoi passi, alla prossima svolta elettorale, ma che intanto ci ha lasciato in un pantano di incertezza. L’Europa doveva da tempo adoperarsi per una politica comune di difesa e di un esercito europeo.
Lo ripeto da sempre.
Deve per certo recuperare il peso politico che oggi la vede secondaria in tanti contesti, come ad esempio nel campo dell’automotive, economico e commerciale dunque, dove siamo in netto ritardo rispetto agli Stati Uniti e all’Asia.
Può sembrare banale il discorso di Benigni, già visto e già sentito, l’ennesima cosa ovvia che tutti sanno (tutti sapevano del Manifesto di Ventotene? Schuman e Adenauer sono noti ai più? Siamo sicuri?) ma che ha avuto la forza di ricordarci chi siamo.
Non è mai abbastanza raccontare le origini, le ragioni, le vittorie e i fallimenti perché è arrivato davvero il momento per l’Europa di essere protagonista in questo ordine mondiale in continuo mutamento, che non tollera più alcun ritardo.