
Di Roberta Di Canio, docente di storia e filosofia
Gent.mo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni,
in qualità di semplice cittadina italiana e di docente di storia e filosofia, pur consapevole dello scarso peso che evidentemente le mie parole avranno rispetto alle Sue, pronunciate mercoledì scorso davanti a tutti gli italiani in veste di alto rappresentante dello Stato, sento il dovere morale di invitarLa a rinunciare all’uso pubblico della storia, avendo dimostrato ancora una volta di non avere né la competenza né la volontà di approcciarsi alle fonti con onestà intellettuale. E tanto più forte si leva il mio umile appello quanto più alto è il valore del documento da Lei parzialmente citato e artatamente manipolato di fronte ad una maggioranza di cittadini che con molta probabilità non lo conoscono affatto.
Con il “Manifesto di Ventotene”, uomini coraggiosi e inermi, che il regime fascista aveva provato a ridurre al silenzio inviandoli al confino, delinearono, con straordinaria lungimiranza ed eccezionale capacità di analisi, il futuro della nostra Europa, mentre la guerra la riduceva in un cumulo di macerie e la faceva sprofondare nell’abisso della più brutale delle barbarie mai compiute nella storia dell’umanità.
Nel Suo discorso, ergendosi a erudita interprete di un documento che invece, a Suo dire, la piazza di sabato scorso ignorerebbe e citerebbe a sproposito, esordisce presentando lo stesso come un appello a realizzare la dittatura del proletariato, che Lei non esita a definire una “alternativa spaventosa” alla democrazia. Subito dopo, per avvalorare la Sua tesi, ne cita un passo: “La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista”, omettendo di completare la citazione come segue “… cioè dovrà proporsi l’emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita”.
A ben vedere, dunque, nessuna minaccia alla libertà e alla giustizia traspare da queste parole, ma Lei preferisce far seguire la Sua parziale citazione da un’altra: “La proprietà privata deve essere abolita, limitata, corretta, estesa caso per caso, non dogmaticamente”, omettendo il successivo passaggio nel quale Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi elaborano una lucidissima critica al comunismo sovietico. Essi ne prendono le distanze evidenziandone l’incoerenza rispetto ai supremi ideali di giustizia sociale e di libertà che hanno ispirato il movimento socialista ai suoi esordi e auspicando un’economia al servizio del progresso dell’intera collettività. Di seguito il passo omesso, che anche Lei, Presidente, sarà in grado di recuperare facilmente dal sito internet del Senato della Repubblica, in cui il “Manifesto di Ventotene” è stato pubblicato con annessa presentazione dell’allora Presidente del Senato Pietro Grasso:
“La bussola di orientamento per i provvedimenti da prendere in tale direzione non può essere però il principio puramente dottrinario secondo il quale la proprietà privata dei mezzi materiali di produzione deve essere in linea di principio abolita e tollerata solo in linea provvisoria, quando non se ne possa proprio fare a meno. La statizzazione generale dell’economia è stata la prima forma utopistica in cui le classi operaie si sono rappresentate la loro liberazione dal giogo capitalista; ma, una volta realizzata in pieno, non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell’economia. Il principio veramente fondamentale del socialismo, e di cui quello della collettivizzazione generale non è stato che una affrettata ed erronea deduzione, è quello secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma — come avviene per le forze naturali — essere da loro sottomesse, guidate, controllate nel modo più razionale, affinché le grandi masse non ne sieno vittime. Le gigantesche forze di progresso che scaturiscono dall’interesse individuale, non vanno spente nella morta gora della pratica routinière per trovarsi poi di fronte all’insolubile problema di resuscitare lo spirito d’iniziativa con le differenziazioni nei salari, e con gli altri provvedimenti del genere; quelle forze vanno invece esaltate ed estese offrendo loro una maggiore opportunità di sviluppo e di impiego, e contemporaneamente vanno consolidati e perfezionati gli argini che le convogliano verso gli obbiettivi di maggiore vantaggio per tutta la collettività” (pag. 59, 61).
Dopo aver riportato in modo parziale la proposta dell’abolizione della proprietà privata nel suo discorso, Lei cita, tornando indietro nel testo, altri passi, ancora una volta decontestualizzati e smembrati: “Nelle epoche rivoluzionarie, in cui le istituzioni non debbono già essere amministrate ma create, la prassi democratica fallisce clamorosamente [….] Nel momento in cui occorre la massima decisione e audacia, i democratici si sentono smarriti, non avendo dietro di sé uno spontaneo consenso popolare, ma solo un torbido tumultuare di passioni […] La metodologia politica democratica sarà un peso morto nella crisi rivoluzionaria” (pag. 39, 41).
Lei estrapola queste parole dal paragrafo intitolato “La situazione rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti”, in cui gli autori del “Manifesto”, lungi dal proporre la distruzione della democrazia, analizzano la dinamica che storicamente ha portato al fallimento dell’esperimento democratico tutte le volte che questo è stato realizzato nella delicata e fragile fase di transizione dai vecchi sistemi politici autoritari ai nuovi sistemi partecipati. Essi ricordano, in tal modo, che la democrazia è una difficile e mai definitiva conquista, sulla quale occorre costantemente vigilare per evitare che si rovesci nel suo opposto.
Ma ciò che è più grave, gentile Presidente Meloni, è l’omissione degli aspetti più centrali del documento in questione, quelli relativi ai caratteri della futura Europa Unita di cui proprio oggi si sta discutendo e che qui riporto per dovere di cronaca:
“[…] occorre sin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far nascere il nuovo organismo che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un saldo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali; spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari; abbia gli organi e i mezzi sufficienti per far eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli stati stessi l’autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli” (pag. 57)
È questo, in realtà, l’unico e più importante elemento di contatto tra le istanze messe in campo nella manifestazione di sabato scorso e il documento richiamato da cittadini finalmente consapevoli e attivi. Ma Lei preferisce spostare l’attenzione del Parlamento e dell’opinione pubblica sull’appartenenza politica degli autori del testo, peraltro mal delineata, agitandola come un fantasma che aleggia sulle nostre teste e, in tal modo, gettando discredito sull’intero documento e sull’idea di Europa che Lei stessa dice di non condividere. Evidentemente per Lei è sufficiente che qualcuno appartenga ad un altro partito politico perché perda autorevolezza o, viceversa, è sufficiente sentirsi ostacolata da idee e azioni di personalità autorevoli per gettarle nel calderone dell’opposizione.
In conclusione, il Suo discorso traccia una lettura distorta e riduzionistica della fonte storica citata che, declassandola – secondo la Sua scala di valori – a manifesto del partito comunista, la svuota del suo più alto valore e tratta la storia a proprio uso e consumo. Di conseguenza, delle due l’una: o Lei (e non la gente che manifesta) non conosce il documento di cui parla e, pertanto, si fa scrivere da altri il Suo discorso, senza curarsi di controllarne l’attendibilità; oppure Lei consapevolmente manipola i fatti a suo piacimento e propone arbitrarie interpretazioni degli stessi. In entrambi i casi Lei non si dimostra all’altezza del compito che gli italiani le hanno affidato perché l’ignoranza e la malafede costituiscono i maggiori pericoli per la democrazia, la stessa democrazia di cui Lei paventa la scomparsa sotto i colpi di una fantomatica ideologia neocomunista di ritorno a cui nessuno più crede.
Lei dovrebbe sentire il peso dell’enorme responsabilità di cui il suo ruolo pubblico la investe, dal momento che le conferisce un potere di gran lunga maggiore di quello di un comune cittadino, non sempre adeguatamente informato e, pertanto, esposto costantemente al rischio della manipolazione.
Le assicuro che, invece, noi insegnanti ed educatori, sebbene declassati da anni di politiche che mettono l’istruzione in fondo alla loro agenda, questo peso lo sentiamo più di Lei, per ogni gesto e per ogni parola che ogni giorno pronunciamo in classe, davanti ad una platea sicuramente meno consistente della Sua ma almeno più importante per il futuro di questo paese.
DI CANIO ROBERTA
Bravissima Roberta!!!
Analisi puntuale e completa
👏👏👏👏👏👏
Spero che ci si renda finalmente conto di come siamo messi male e che lo si faccia capire ai nostri ragazzi.
Che la Scuola torni ad essere protagonista.
Superba lezione di storia e di educazione civica; efficace lezione di metodo (scientifico) nel riportare i fatti della storia e analizzarli nel contesto storico in cui quei fatti si sono verificati. Citando il sociologo e filosofo Herbert M. McLuhan, è necessario lavorare nelle pieghe nascoste, non facilmente percepibili, dei fatti umani, non lasciarsi sedurre dalle semplificazioni, per poter trovare le vere radici di quei fatti e di quei pensieri.
Attività queste che dovrebbero esercitare tutti i cittadini “liberi”, in primis un primo ministro, per evitare di mistificare i fatti della storia evitando di dileggiare le radici (antifasciste) da cui quei fatti si sono sviluppati e da cui è nata l’idea di Europa; la mia, e di tanti cittadini, idea di Europa.
A tutti i decisori politici un suggerimento che viene dal pensiero di Simone Weil: più conosciamo, il quale è peraltro un ‘dovere’ per chi esercita funzioni pubbliche e amministra il potere, più diventiamo responsabili.
[…] Il testo integrale della lettera è pubblicato sul sito http://www.odysseo.it […]