
Il docufilm “Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America”
Sergio Leone non è stato solo l’italiano che ha inventato l’America, almeno secondo il documentario di Francesco Zippel, ma ha rappresentato una visione tutta nuova sulla Settima Arte, dando al cinema e alla famiglia la stessa importanza, spesso confondendoli.
Sulle sue spalle si sono poggiati i sogni di gente come Eastwood, Scorsese, Tarantino, Chazelle, Spielberg, Verdone, Aronofsky, Miller, icone che vedevano in Leone quel paradigma di perfezione al limite dell’agiografia.
Il docufilm “Sergio Leone – L’italiano che inventò l’America”, girato anche grazie alla Cineteca di Bologna, ripercorre la carriera di un regista ante litteram, un uomo sui generis raccontato da aneddoti e da precise scelte estetiche e stilistiche che adottava sul set, indagando le ragioni più profonde che portavano alla realizzazione di una scena.
Sergio, come si faceva amichevolmente chiamare dalle star, ha davvero reinventato l’America restituendo valore a pellicole che sembravano sulla via dell’estinzione fascista, ha capovolto il mito statunitense raschiando il fondo dell’umanità, quell’ego fanciullesco che traspare nella decennale produzione di “C’era una volta in America” in cui teneva testa a De Niro avendo, però, accanto i suoi familiari, conservando il suo cognome, a dispetto di quel Roberto “Roberti”, ingombrante pseudonimo, eredità di un papà cineasta della filmografia muta!
Il suo è un inno allo spettacolo immenso di epoche anacronistiche, gli spaghetti western di quella “Trilogia del Dollaro” tutto polvere e primi piani, un primo piano “alla Sergio”, appunto, come ci confessa Quentin nei credits finali e come si usa dire nel linguaggio tecnico di quel mondo, l’eterna collaborazione con le note di Ennio Morricone, l’uno concatenato all’altro, sodalizio poetico di chi sa ammiccare al cielo per farci toccare la luna.