Stack of old paper books on wooden windowsill, bathed in soft candle glow light. Cozy ambience of fall, candle burning. Literature promotions or tranquil visual storytelling. Rainy autumn weather.

Osservazioni

L’utilizzo degli strumenti tecnologici, che tanto ha facilitato alcuni aspetti della nostra esistenza, ha causato un impoverimento del sentire più raffinato che ci proveniva dallo studio delle lettere sia a livello di fruizione che di produzione.

Nel comporre un’opera, ad esempio, l’utilizzo della digitoscrittura, offrendo la possibilità di cambiare dei frammenti di testo e la singola parola, provoca in chi scrive una sorta di pigrizia nel riformulare le frasi e quindi nel ristrutturare il proprio pensiero. Inoltre, di modifica in modifica, arrivando alla stesura definitiva del testo e non mantenendone memoria, sparisce il cosiddetto “avantesto” e di conseguenza niente più indagine filologica. E non abbiamo più la gioia di vedere il manoscritto, che tanto ci avvicinava emotivamente al suo autore. Questo accade inevitabilmente anche a coloro che non hanno abbassato la qualità del loro sapere a causa dei moderni mezzi di comunicazione.

Per quanto concerne la scuola poi il discorso è molto semplice: attualmente gli alunni sono suffarcinati da una quantità via via sempre maggiore di incombenze quali la frequenza dei corsi per il PCTO o comunque validi per i crediti formativi, la compilazione della modulistica afferente alla Piattaforma Unica, al Portfolio, l’orientamento in uscita, i test di ammissione all’Università, ecc. Come possono di pomeriggio a casa gustare almeno gli argomenti di letteratura affrontati a scuola? Meno che meno possono accostarsi alla critica o semplicemente avere il tempo e la voglia di leggere.

I programmi di letteratura (e non solo) sono di anno in anno sempre più ridotti perché il docente non può fare magie, con i tempi ristretti dalle ultime riforme della scuola e con la caterva di richieste burocratiche alle quali deve ottemperare.

Con la programmazione per competenze, inoltre, le abilità hanno soffocato il sapere; in altri termini ci siamo scordati che il “saper fare” presuppone il “sapere”, ossia la conoscenza dei contenuti disciplinari.

Infine, a partire dagli anni ’80, si è dato sempre più spazio all’analisi del testo, forse per una errata interpretazione del termine. La “vivisezione” dei testi, il questionario, hanno ucciso la letteratura, che va comunque gustata, prima che analizzata tecnicamente.

I testi di letteratura attuali sono molto incentrati sui percorsi (spesso preconfezionati, a volte insignificanti) anziché sugli autori e sul periodo storico cui appartengono. Un docente che si rispetti, invece, aiuta gli studenti a costruirli autonomamente, e non ignora che i percorsi si costruiscono se si conoscono gli autori e la loro poetica, se li si colloca nel contesto storico e culturale cui sono appartenuti. Forse converrebbe ritornare all’approccio storiografico della letteratura.  L’ostinata attualizzazione di un autore e della sua opera, inoltre, è ridicola e serve solo al docente che cerca conferme, al docente che desidera essere al passo con i tempi, che – per dirla con una espressione recentissima – “fa lo splendido”.

Concludendo, la letteratura a scuola e fuori di essa deve prepotentemente riappropriarsi dello spazio che le è stato tolto, se vogliamo tornare a nutrire il nostro spirito, in barba al pragmatismo dilagante ereditato dalla cultura anglosassone. E attraverso la critica letteraria dobbiamo, come dice nel suo articolo il prof. Michelangelo Filannino, riappropriarci dell’”esercizio spirituale attraverso il quale ereditiamo il mondo umano e, per analogia o per differenza, conosciamo qualcosa di noi stessi”.


FontePhotocredits: https://elements.envato.com/vintage-background-stack-of-paper-books-near-rainy-T4XKD2D
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Sono nata a Barletta il 19 gennaio 1961 da padre barese e madre barlettana ma vivo ad Andria dal 1972. Docente di scuola elementare, materna e di sostegno, dal 1987 al 2001 ho insegnato nella scuola materna statale. Conseguita nel 1993 la laurea in Pedagogia all’Università “La Sapienza” di Roma, ho insegnato nel Liceo Scientifico “A. Moro” di Margherita di Savoia e dal 2002 insegno lettere nel Liceo Scientifico “R. Nuzzi” di Andria. Per molti anni ho studiato e commentato i testi delle canzoni di Fabrizio De Andrè, alcune delle quali confluite nella mia tesi di laurea (inedita) e ho tenuto in merito alcune lezioni. Ho pubblicato su “Odysseo” il commento del brano “Don Raffaè”. Ho trascritto una importante cronaca barlettana e sono tutta immersa nello studio della storia della mia città natale. In particolare mi sto occupando di opere letterarie che parlano di Barletta o che sono state scritte da autori barlettani non molto noti. Attualmente sono nel Consiglio Direttivo delle sezioni barlettane della “Società di Storia Patria per la Puglia” e di “Italia Nostra”.

1 COMMENTO

  1. L’articolo della prof.ssa Desantis si presta a molteplici e diverse riflessioni, ma voglio porre l’attenzione su un aspetto. Nell’articolo si dice che gli alunni sono oberati di impegni, operazioni, procedure prive di spessore culturale, aride, nevrotiche. E’ verissimo. La mia domanda è: cosa hanno fatto i dirigenti scolastici e i Collegi dei docenti per contrastare questa deriva? E’ una deriva che viene da lontano, dagli anni del berlusconismo, dalla riforma Gelmini, da quando si è deciso che tutte le scuole erano infestate da comunisti , che i libri di testo erano tutti “di sinistra” e così via.
    La Legge dello Stato attribuisce al Collegio dei docenti la prerogative assoluta nell’indirizzo culturale della propria scuola, che si descrive attraverso il Piano triennale dell’offerta formativa.
    In che modo i dirigenti scolastici e i Collegi dei docenti rettificano la rotta, la adattano alle esigenze dei ragazzi e del territorio, insomma in che modo esercitano la loro responsabilità educativa?
    Quello che vedo è un’omologazione, una stanchezza, un “signorsì” generalizzato che lascia sconcertato chi, come me, è cresciuto in scuole dove si discuteva, ci si confrontava, anche aspramente, ma LIBERAMENTE e APERTAMENTE. Oggi si parla molto di deriva “di destra destra” in tutti gli ambiti: nella scuola il lavoro è già stato fatto e completato da anni. Bisognerebbe riflettere su questo. Solo un’annotazione: l’IA, se cade su questo terreno, dove porterà?
    In conclusione la mia domanda è: cosa fanno i Collegi dei docenti e, di conseguenza, i dirigenti scolastici per ripristinare lo spirito democratico della scuola pubblica?

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