A proposito del saggio di Salvatore Colazzo e Ada Manfreda: La comunità come risorsa. Epistemologia, metodologia efenomenologia dell’intervento di comunità
Molte idee strategiche venute fuori nell’ambito del pensiero filosofico e scientifico, come quella di complessità, non solo hanno trovato e trovano spazio e consistenza in saperi e pratiche che ad una lettura semplicistica ed unilaterale possono sembrare non pertinenti, ma li hanno arricchiti di diverse configurazioni concettuali sino ad allargarne orizzonti e metodologie col permettere di esplorare nuovi territori o di rivedere quelli esistenti sotto altre visuali; in tal modo, come diceva il matematico-epistemologo italiano Federigo Enriques, l’acquisizione critica di un elemento di verità conduce a tracciare i binari di altri percorsi che, lievitati e resi possibili grazie ad esso, gli permettono nello stesso tempo di arrivare ad un maggior grado di oggettività più condiviso e meno ricattabile dalle lusinghe sempre presenti dei soggettivismi interpretativi, che a volte, come diceva Simone Weil, sfociano in posture concettuali risibili e fanno regredire il pensiero umano su posizioni infantili. Èil caso dell’esito di una ricerca, condotta non solo sul piano teorico, portata avanti da più anni e sfociata nel volume La comunità come risorsa. Epistemologia, metodologia efenomenologia dell’intervento di comunità (Roma, Armando Ed. 2019), scritto insieme da Salvatore Colazzo e Ada Manfreda che, nell’ambito delle discipline pedagogiche e con un ‘respiro interdisciplinare’, hanno fatto tesoro, per usare l’espressione biblica dei Proverbi, del ‘pensare il sistema delle interazioni che caratterizzano la complessità’.
Frutto di una non comune metabolizzazione del pensiero complesso, del resto praticato in altri precedenti lavori, è lospazio concettuale ed ermeneutico dato ad una particolare indicazione in esso presente, venuta programmaticamente a concretizzarsi nel ‘porsi in ascoltodelle peculiarità e specificità della realtà in cui si vuole intervenire, delle trame di significati che essa possiede’ con uno stile di ‘pensiero-azione’ che ricorda quello di Simone Weil (Tra la rugosità del reale, 19 dicembre 2019); ma esso è stato irrobustito da una lettura, anch’essa non comune, di alcuni punti di vista orientati in tal senso ed elaborati da Paul Feyerabend e Hans Blumenberg, come le rispettive idee di ‘sovrabbondanza del reale’ e di ‘metafora influente’, proprio per avere come guida l’invito a tener conto delle pluriarticolate ragioni del reale e di una sua visione d’insieme che, se tralasciata in una società come quella contemporanea, porta a interventi concreti fallimentari. Nello stesso tempo, per irrobustire sul piano concettuale e operativo il discorso incentrato sulle reali possibilità dell’’impegno pedagogico’ nel fornire gli strumenti in grado di essere ‘fattore di sviluppo’ per una comunità nel potenziarne le capacità inclusive e favorirne i processi comunicativi, vengono tenuti nel debito conto altri non secondari apporti provenienti da settori diversi, dagli studi sulla intelligenza collettiva e connettiva di Levy e De Kerckhove al General intellect di origine marxiana e all’organizzazione dell’’azienda rete e virtuale’ di Rifkin, alle ricerche condotte sui processi di addomesticazione dell’uomo e sul ruolo dei dispositivi della cosiddetta infosfera tesi al controllo delle scelte e dei consumi.
Tutti questi risultati vengono interrogati da Colazzo e Manfreda perché permettono di ‘leggere la realtà e di darci delle indicazioni operative’ per poter meglio ‘misurarsi con la specifica forma che il mondo ha assunto’; nello stesso tempo aiutano a capire come oggi sia sempre più necessario ‘pensare a noi stessi, alle cose con cui ci rapportiamo in termine di rete’, ‘nuovo, potente, significativo modello culturale’ che sta investendo l’universo pedagogico con spingerlo verso l’analisi di nuove forme di apprendimento e di formazione di natura collaborativa e cooperativa; e nello spirito autentico del pensiero complesso, non solo è ritenuto necessario pensare in termini di interdipendenza i fenomeni umani col mettere da parte in maniera definitiva gli approcci unilaterali e chiusi all’interno dei recinti concettuali imposti da una certa modernità, ma convertire i nuclei che lo sorreggono in ‘risorse’ insieme cognitive ed operative non più considerate in maniera separata, dati i processi di globalizzazione in corso che sia a pure a fatica stanno facendo emergere una ‘ragnatela mondiale’ e ‘strategie interattive’ sino a incidere in maniera significativa sulla ‘nostra identità’.
Questo esito lato sensu politico, implicito nel pensiero complesso, non sfugge a Colazzo e Manfreda che riflettono sullo ‘sviluppo di comunità nell’era dei social media’, sulle ‘interazioni che stabiliamo nell’infosfera’, sui ‘costi morali, politici e culturali elevati’ di un processo che ha portato alla disgregazione di forme tradizionali di vita, sul destino dei ‘beni comuni’ e degli stessi diritti, sugli ‘sviluppi odierni del capitalismo’ ritenuti ‘non innocenti’ nel loro dispensare ‘riconoscimento’ e nel produrre ‘misconoscimento’; così un discorso teso a ridefinire il ruolo delle discipline pedagogiche, una volta metabolizzati i risultati di ricerche condotte in più campi e ricondotti attraverso una non comune analisi epistemologica al perno centrale di ‘comunità’, non solo ne permette di ristabilirne su nuove basi la legittimità, ma un vero e proprio e significativo ‘ritorno’ grazie anche a dei riferimenti ai contributi di Sen sul capability approach e al tema del riconoscimento di Honneth, studi finalizzati, com’è noto, a fare in modo che le politiche economico-sociali da mettere in atto portino a dare ad ognuno le opportunità di realizzarsi. Nello stesso tempo si sottolinea, sulla scia di Genovesi e degli illuministi meridionali del ‘700 col loro pioneristico concetto di ‘economia civile’, che ‘economia e sviluppo morale sono strettamente congiunti’ e ‘sull’homooeconomicus deve prevalere l’homo reciprocans’, come qualche anno fa hanno indicato economisti come Luigi Bruni e Stefano Zamagni.
Il tal modo Colazzo e Manfreda nei rispettivi contributi approdano all’idea di comunità come ‘risorsa’, basata del resto sulla ‘natura intimamente relazionale dell’uomo’, dove ridiventa centrale ‘il dispositivo del dono’ nel ridare ‘fiducia’; tale atto è condizione strutturale per rigenerarla e renderla ‘soggetto collettivo’ con la necessità di un preciso e inequivocabile ‘riconoscimento’ in quanto fattore ritenuto indispensabile per arrivare a delle ‘visioni condivise’ con il consenso di tutti. La stessa ’organizzazione reticolare’ che la caratterizza garantisce processi decisionali frutto di larga partecipazione e rapporti di non dipendenza gerarchica; si sottolinea, inoltre, a più riprese che una sana analisi della comunità ‘si carica immediatamente di una prospettiva valoriale e di una portata politica’, riconosciuta proprio in questi ultimi anni come il terzo pilastro e antidoto ad un capitalismo malato, dopo essere stata dimenticata dallo Stato e dai mercati, come ha scritto un esponente di spicco della stessa Scuola neoliberale di Chicago, Raghuram Rajan.
Per questo, soprattutto da parte di Colazzo si mettono in evidenza i luoghi deputati, sulla scia di Sen che si limita però alle singole persone, alla concretizzazione dei percorsi sociali di comunità, oggetto primario di interesse della pedagogia di comunità in grado di cogliere di più il senso del nesso individuo/contesto sociale; per questo si insiste in particolar modo su quelle chiamate ‘istituzioni capacitanti’ in grado di favorire le ‘capacità sociali’, la ‘coesione sociale’, le ‘capacità di gruppo’, il ‘capitale sociale’ fattori indispensabili che permettono ad una società di ‘essere autopoietica’ e generatrice di ulteriori opportunità e sviluppo di strutture relazionali; all’interno di tale percorso per capire il reale ‘posto dell’individuo’ nel contesto della pedagogia di comunità, poi diventa interessante la sua lettura della ‘lezione’ di Gilbert Simondon (1924-1989), sulla scia di quei pochi lavori critici su tale figura, che ci ha dato da una parte una profonda ed originale riflessione sul mondo della tecnica, intesa come ‘bisogno umano di senso’, e dall’altra col strategico ruolo assegnato al principio di individuazione un non comune percorso teoretico teso alla dimensione transindividuale dove è centrale il ‘rapporto tra esseri’ ed il soggetto assume un suo preciso significato nel trascendere se stesso e la ‘sua contingenza di finitudine’.
Ma per la stessa ricerca portata avanti dalle scienze dell’educazione, questi imputs provenienti da altri campi, ma comunque ‘segni dei tempi’ per usare un’espressione di Paolo VI in quanto frutto di bisogni oggettivi emergenti nelle diverse pieghe dell’umano, servono a ridisegnare la mappa epistemica della stessa pedagogia di comunità, il suo essere strutturalmente un sapere di confine; e, pertanto, può trovare nella metodologia e ‘logica della complessità’, il suo specifico e quasi naturale strumento di indagine per farne capire non solo la portata cognitiva. Infatti, essa viene a situare il suo specifico ‘oggetto di studio’ nel ‘posto intermedio tra l’individuo e le istituzioni’, in una ‘zona di mezzo’ rappresentata appunto dalla comunità che per svilupparsi ha bisogno di essere ‘reimpiantata’, come sottolinea Colazzo, e continuamente alimentata da fattori di diversa provenienza; come ogni fatto umano è frutto di un processo, si presenta come uno ‘spazio aperto, in fieri’, dove i singoli attori devono percepire le logiche inerenti e cioè ‘misurarsi con l’ampiezza dei nessi in cui ogni nostra azione è presa’ sino ad arrivare a prendere atto della dimensione planetaria dei problemi, come Morin e Mauro Ceruti hanno ben chiarito. In tal modo si comprende nella giusta dimensione socio-epistemica il fatto che ‘il bisogno di comunità sottende un bisogno di relazione ’dove ‘l’io, l’altro, il contesto sono elementi costitutivi della relazionalità sistemica, come ci ha ben spiegato von Foerster’.
Alla luce, pertanto, di tale piena accettazione e quasi immersione nelle proficue pieghe del pensiero complesso, Colazzo e Manfreda non solo si limitano ad esporre la ragioni che spiegano ‘il ritorno alla comunità’, ma nelle schede di approfondimento che accompagnano ogni loro contributo ci offrono anche un indispensabile ‘ipotetico lemmario delle parole chiave della Pedagogia di Comunità’; questa scelta metodologica si rivela poi oltremodo proficua non solo per delimitarne il campo di indagine e individuarne la specifica ‘ontologia regionale’ nel senso descritto da Husserl e Gaston Bachelard, ma anche per darci gli strumenti più adeguati a capire la ricchezza semantica dei mondi che tale settore di studio mette in gioco.