Si chiamerà così la nuova rubrica di “Odysseo”, a cura del prof. Mario Castellana

Qualcuno può giustamente chiedersi il perché di tale rubrica in un giornale come “Odysseo”, ma essa trova la sua giustificazione nello stesso significativo sottotitolo della testata: “navigatori della conoscenza”.

“Rugosità del reale”  è una espressione che si trova negli scritti di Simone Weil (1909-1943) ed è  una metafora utilizzata da questa straordinaria figura di donna-pensatrice proprio per indicare, fra le altre cose, che chi si avventura a ‘navigare’ nelle incerte acque della conoscenza e in qualsiasi altro ambito del pensiero umano, a partire da quello artistico, viene ad incontrarsi e nello stesso tempo a scontrarsi, a volte con estrema durezza, con la ’rugosità del reale’ o con le sue ‘asperità’ per usare un  termine simile di un altro pensatore francese Jean Cavaillès (1904-1944), morto combattendo con le armi anche della ragione contro il nazifascismo.

La scelta trova la sua ragione nel fatto che l’essere umano pur divorato, come diceva l’ingegnere, filosofo e teologo russo Pavel Florenskij (1882-1937), una delle tante vittime dello stalinismo, dal ‘sacro fuoco della verità’, spesso è portato ad imporre il suo punto di vista parziale, ma ritenuto assoluto sulle cose del mondo e sul reale  più in generale che per sua natura sfuggono a qualsiasi imposizione aprioristica; in tal modo, sempre per seguire Simone Weil, si arriva a ‘mentire sul reale’, a vederlo in funzione della propria immaginazione e dei propri interessi e a non permettere che esso emerga in tutto il suo spessore di senso e  anche valoriale. Quella intrinseca pluralità di significati che ha il reale viene ricondotta alla nostra percezione immediata che si trasforma in una prospettiva su di esso, ma ritenuta il mondo stesso e a nostra misura; in tal modo non solo ci si allontana dalla verità, si arriva deliberatamente a mentire sulle cose del mondo e a perdere il contatto con la realtà fino a imporre visioni riduttive e fuorvianti, le quali per legittimarsi hanno bisogno del consenso degli altri. E tale consenso trova il suo formidabile strumento nei processi di semplificazione dei fatti reali, costruiti ad arte, sino a diventare opinione che si regge sistematicamente su un meccanismo menzognero dove ognuno si sente sicuro delle ‘sue’ verità con l’attribuzione di un ‘senso’ fatto su misura.

Tutto questo ci porta a costruire dei recinti prima mentali nei dintorni immediati e poi sociali e collettivi sino a rimanere in balìa della nostra immaginazione che porta a mistificare la realtà,  a considerarla ad uso e consumo dei nostri desiderata ed in base, poi, a questo ci sentiamo autorizzati a mettere in atto un certo potere; per liberarsi da questo soggettivismo  cieco sia individualmente che collettivamente, è necessario risvegliare in noi un pensiero che nello scontrarsi con il reale e le sue nervature lo prenda come punto di riferimento sine qua non, non infierisca sul suo corpo aggredito con strumenti inadeguati anche perché se non compreso nella sua specificità e immanenza, sempre come diceva Simone Weil, prima o poi si vendica, come sta succedendo in questi ultimi tempi a proposito del clima e dell’ambiente;  oggi che a più livelli si è impegnati nel ripensare il pensiero, a ripensare il posto dell’uomo nel mondo, può forse essere ancora utile quell’atteggiamento di Tommaso D’Aquino che, nell’iniziare i suoi corsi di Filosofia, metteva davanti agli occhi dei suoi studenti sempre una mela, proprio per ricordare che qualsiasi atto conoscitivo non è il frutto della propria immaginazione, ma il risultato dell’incontro-scontro con un reale, che ha un corpo da rispettare nella sua specificità con i suoi sapori e le sue esigenze.

Certo, tale rubrica si sarebbe potuta chiamare ‘Rubrica di Filosofia’, ma con l’espressione ‘rugosità del reale’ si vuole mettere in evidenza un fatto ormai incontrovertibile che a volte un certo modo di praticare il pensiero filosofico ha dimenticato pur essendo esso stesso partito, come ogni forma storica di conoscenza, da questo fatto e cioè la presa d’atto che il reale è inesauribile, è ‘un testo a più significati’ e ha ‘mille ragioni’ per essere tale, come dicevano quasi all’unisono Leonardo Da Vinci e Simone Weil.

Lo sforzo dell’uomo in quanto teso pur con tutti i suoi limiti alla verità sul reale, se tutto va bene, riesce ad individuarne un significato, una ragione, unanervatura, uno strato, una piega, ma senza la pretesa di averne esaurito le potenzialità intrinseche e di appianarlo in un determinato recinto i cui argini prima o poi crolleranno.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

6 COMMENTI

  1. “… con l’espressione ‘rugosità del reale’ si vuole mettere in evidenza un fatto ormai incontrovertibile che a volte un certo modo di praticare il pensiero filosofico ha dimenticato… “.
    Potrebbe esplicitare il passaggio, specificando gli interpreti o le scuole di pensiero che praticano il filosofare, incoscienti della rugosità del reale?
    La ringrazio per l’attenzione e le auguro buon lavoro.

    • Non è certo il pensiero filosofico in quanto tale a tacere sulla rugosità del reale, anzi esso nasce proprio per conoscerlo sempre di più, ma per conoscerlo sempre di più bisogna amarlo per quello che è, come diceva S. Weil. Sono poi i sistemi filosofici o meglio certe attitudini teoretiche che per loro natura ‘si dimenticano da dove sono partiti’, anch quei sistemi filosofici magari più orientati a farlo come le varie forme di ‘dealismo’, vecchie e nuove, che nascono con l’obiettivo di cogliere ‘le contraddizioni del reale’ e poi finiscono con l’appianarlo e così regrediscono su posizioni ideologiche, come del resto un vcerto heideggerismo di casa nostra tetragono a confrontarsi con le scienze che pur con tutti i loro limiti sono delle ancore al reale, con cui un sano pensiero filosofico ha sempre da guadagnare.
      Mario CAstellana

  2. Complimenti per la rubrica. Ci voleva, ma era necessaria? Parafrasando simpaticamente per l’occasione il principio parmenideo-aristotelico di non contraddizione, potremmo dire:
    Se c’è, è necessaria, se non ci fosse stata, non lo era.
    Complimenti di nuovo quindi.

  3. Titolo emblematico,in cui riecheggia il fascino di Simone Weil, che fa trasparire la profondità dei discorsi che si affronteranno in questa rubrica…complimenti per la scelta!
    Condivido pienamente l’impossibilità, per il pensiero, di esaurire totalmente le infinite potenzialità del reale.
    Se solo si riflettesse su questo, si ridimensionerebbero le pretese di imposizione indiscriminata del proprio punto di vista, perché esso sarà sempre una visione parziale e mai assoluta dell’inesauribilita’ del reale. Complimenti e buon lavoro!

    • Grazie per i complimenti; è lo spirito della vera impresa filosofica che insieme a quella che Henri Poincaré chiamava ‘sua vicina di casa’, cioè la scienza, si poggia sulle infinite potenzialità del reale, di cui se va bene, cogliamo qualche eco proprio per quel barlume di verità ivi insito. Mario Castellana

  4. grazie per i complimenti che vanno in primis alla Redazione di Odysseo. Poi in un nomento in cui prevalgono le false verità a tutti i livelli, si rende necessaria quella che Antonio Rosmini chiamava ‘carità intellettuale’ che consiste appunto nel far trovare un punto di riferimento di una certa consistenza ad una società in balìa della doxa; Mario Castellana

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