Un lungo e faticoso cammino: per lo più in salita…

La strada  che ha portato il pensiero umano a fare i conti con il mondo della complessità è stata lunga ed è stata per lo più in salita  dove  nel corso del tempo si sono sedimentate   diverse e solide tradizioni concettuali   all’interno del suo non omogeneo percorso, diventate forti tradizioni socio-culturali nel senso che hanno forgiato non solo le menti ma hanno condizionato comportamenti individuali e collettivi. Tali ‘stili di pensiero’, per usare un’espressione del microbiologo polacco e storico  delle discipline biomediche Ludwik Fleck (1896-1961), sono pervenuti a codificare quei  noti principi in uso nel linguaggio e nella vita comuni con semplificarli ancora di più, fatto su cui spesso si sorvola, come causalità, generalità, quantità, continuità, necessità, ripetibilità, immutabilità, semplicità; essi, nati per mettere un po’ di ordine nelle rugosità del reale, ne hanno permesso un primo livello di intelligibilità di cui tutti ne abbiamo beneficiato,  ma sono arrivati a codificare in norme assolute  solo alcuni aspetti di un certo reale, quello fisico preso come modello ideale di riferimento, processo che ha portato a cosificare  e fisicizzare qualsiasi oggetto di conoscenza come i concetti attinenti l’umano (stato, famiglia, classe, chiesa, scuola, polizia, partito, politica, ecc.).

Tali concetti fondamentali, trasportati nelle scienze storico-sociali dove si sono  ulteriormente impregnati di generalità e di necessità, sono stati visti poi come entità fisicamente esistenti, pur essendo nati per spiegare le aggregazioni umane sino a diventare loro malgrado supporto di certe ideologie di stampo totalitario vecchie e nuove; come ci insegna quel filone di indagine in campo sociologico che va sotto il nome di individualismo metodologico  avanzato da Max Weber e rappresentato in Italia da Dario Antiseri e dalla sua scuola, occorre evitare il più possibile termini ‘generali’ e considerati come ‘neutrali’ come ad esempio ‘la politica’, ‘il partito’, ‘la scuola’, ‘la sanità’, ‘la scienza’, ‘la tecnica’ e molti altri ancora perché in tal modo si mettono in secondo piano il ruolo dei singoli  che ivi operano e le loro responsabilità in nome appunto di entità astratte ma a cui si dà una esistenza autonoma quasi indipendente dal soggetto umano. Ed una vera e sana democrazia nel  convivere con essi ha anche una funzione eco-cognitiva secondo le indicazioni forniteci da Lorenzo Magnani, nel senso che  per sua natura deve essere messa in grado di gestire  in modo equilibrato questo meccanismo, non facilmente percepibile, meccanismo che se non governato degenera nel populismo;  e nello stesso tempo essa si distingue proprio per la capacità di fornire strumenti adeguati per non cadere prima in tali trappole del linguaggio e poi gli anticorpi necessari per evitare posizioni assolutistiche, donde la sua fragilità ed imperfezione  per i processi autocorrettivi costretta ad mettere in atto programmaticamente, come ci hanno insegnato in particolar modo Karl Popper e lo stesso Antiseri.

Tali processi di cosificazione con la conseguente ed estrema semplificazione sono stati una delle non minori cause che hanno oggettivamente ritardato l’entrata in scena della complessità  nel mondo del pensiero in quanto, come ha sottolineato spesso Mauro Ceruti, sin dall’inizio è stato un percorso che programmaticamente si è messo agli antipodi di  tale tradizione; ed in primis è stato necessario decostruirne le logiche di base a partire dal linguaggio  stesso, vero e proprio portatore di concetti che, come diceva Gaston Bachelard negli anni ’30, ha avuto la funzione di un vero e proprio ‘ostacolo epistemologico’ nel bloccare lo sviluppo di un pensiero più articolato e nello stesso tempo più critico.  Pertanto, una delle vie maestre per seguire la genesi e il traghettamento della complessità nelle rive del pensiero è quella ovviamente storica che non si riduce ad essere una semplice cronaca  più o meno esauriente delle vicende  salienti che l’hanno caratterizzata, ma frutto di una metodologia comparata che ne sappia interrogare più in profondità i problemi attingendo a diverse fonti; pur sembrando a prima vista inevitabilmente contraddittoria, tale ottica può essere d’aiuto nello sviscerare le ‘pieghe’, per usare un’espressione di Ludovico Geymonat, entro cui ha preso sia pure lentamente piede per poi manifestarsi in tempi recenti in  tutta la sua cogenza e rilevanza teoriche con risvolti teorici e politici insieme, impliciti in ogni reale cambiamento di fondo.

Il quadro storico imprescindibile è quello relativo al secondo Ottocento quando prende piede la cosiddetta ‘seconda rivoluzione scientifica’ in atto quasi contestualmente nelle matematiche, nella fisica e nelle discipline biologiche i cui  sostanziali ‘cambiamenti qualitativi discontinui’  apportati nel campo conoscitivo, a dirla con Federigo Enriques (1871-1946), sono ancora oggetto di continue ricerche in campo filosofico-scientifico; questi studi, com’è noto, hanno portato nel primo Novecento allo sviluppo di una nuova disciplina, la filosofia della scienza con l’obiettivo specifico di comprendere il senso di tali novità non facilmente metabolizzabili per un pensiero basato sulle categorie del passato. Un primo e non secondario elemento venuto fuori è la presa di coscienza della crescente complessità del pensiero scientifico in ogni ambito insieme con la necessità di introdurre nuove categorie come quelle di approssimazione, estensione, correzione, rettificazione, ristrutturazione dove acquista pieno senso quello che è stato definito in diverse tradizioni di ricerca, a partire da quella francese, il ‘primato teoretico dell’errore’. Questo che prima era considerato una ferita o vera e propria patologia della ragione ha aperto una breccia sino a dare le basi di una ‘nuova ragione’ non-cartesiana, una raison souple, ouvertea dirla con Bachelard che ha visto ‘la danza  che crea’, per usare il titolo di una importante opera di Mauro Ceruti del 1994, della complessità nella fisica del primo Novecento; ma tale ‘danza’ ha trovato altre e non secondarie radici nelle scienze biologiche della seconda metà del ‘900 dove la complessità, si potrebbe dire, è di casa con tutto il suo vasto corredo e vocabolario concettuali, anche se tale ‘danza’ nelle scienze della vita e della terra è stata intravista nella sua forza dirompente già negli anni ’30 da quella singolare figura di scienziato-paleontologo e uomo di fede che fu il gesuita francese Teilhard de Chardin in diversi scritti, oggi al centro di un rinnovato interesse.

Ma sino a questo periodo, essa   pur presente negli avamposti di alcuni settori scientifici   era quasi ‘nascosta’  come un lievito nelle diverse ‘pieghe’ , ma ha agito come un mobilenel senso francese del termine e fatto suo da Gaston Bachelard  che ci ha dato le basi di un rationalisme complexe du mobile, di una ragione in movimento e pluriarticolata in grado di cogliere le diverse nuances, sfumature implicite nel reale e nelle scienze;  grazie alla vocazione storica presente in tale tradizione più che in altri filoni di pensiero filosofico-scientifico,  sin dai primi anni del ‘900 in Francia  mobilitée complexitéerano quasi sinonimi e, pur  sembrando come percorsi di una ‘ragione vagabonda’ a dirla con Maurice Merleau-Ponty,  hanno indicato una non comune via di marcia. In tale contesto questo binomio, dove il pendolo è più orientato all’idea di complessità come sarà evidente nel percorso successivo di Edgar Morin,  ha agito per diverso tempo quasi da ‘pensiero laterale’  nel senso indicatoci da una figura poco nota del panorama epistemologico francese, Gilles Châtelet (1944-1999);  in un’opera del 1993 dall’emblematico titolo di sapore bachelardiano Les enjeux du mobile, tale figura ha evidenziato ‘le poste in gioco’ dell’entrata ‘laterale’ nella scena del pensiero umano di idee non in linea con quello dominante e  sempre ancorato ad  una sola dimensione, grazie ad una analisi non comune del ruolo che hanno avuto nelle discipline fisico-matematiche i diagrammi che storicamente sono stati in grado di veicolare nelle pieghe della scienza principi vietati o eterodossi  e poi diventati punti di forza.

Tale ‘pensiero diagrammatico o laterale’, sviluppato ultimamente in Francia in particolar modo da Charles Alunni, può spiegare meglio l’entrata in scena della complessità prima quasi da intrusa per la sua ‘danza’ proibita o gioco in grado di scompigliare  la linearità e la stabilità della ragione cartesiana o, come è stata definita da Simone Weil,  ‘ragione paradisiaca’ che scarta per principio le contraddizioni del reale ed in genere tutto ciò che le fa male; ma essendo essa complessità una ‘danza che crea’ e costruisce, deve ‘abitare nelle contraddizioni’, sempre per usare un’altra significativa idea della Weil, facendone emergere le potenzialità implicite. Per questo si  pone inizialmente  ai ‘lati’ di tale ragione ormai chiusa in se stessa e come  un umile pugile la lavora  ai fianchi sino a renderla priva di forze in virtù dei contenuti di verità che emergono prima a fatica e poi sempre più centralmente col mettere tutto in discussione.

Quella che potremmo considerare la strada francese verso il mondo della complessità  ne ha arricchito il già ricco vocabolario fatto di termini intrisi di queste verità e ad alta intensità concettuali   come, ad esempio, nuances, bordi, mobilité,  spinta e vis laterali, ressourcescachées, discontinuità,  raison souple et ouverte, frontiere ma sempre  all’interno di una strategia tesa a rafforzare le dimensioni razionali dell’uomo a cui una visione semplicistica e riduzionistica dello stesso pensiero complesso a volte sembra non approdare. E contro tali insidie epistemologiche sempre presenti quando un nuovo modo di pensare si affaccia nel teatro della conoscenza, il sano pensiero complesso è un ottimo vaccino ma, come diceva Blaise Pascal a proposito della ragione, va sempre alimentato di nuove risorse cognitivo-epistemiche ed esistenziali insieme con la presa di coscienza dell’intrinseca portata politica che lo contraddistingue.


FontePhotocredits: Roberto Strafella
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.