A proposito del saggio The Abductive Structure of Scientific Creativity. An Esssay on the Ecology of Cognition, di Lorenzo Magnani

Nel pensiero dei primi due decenni del XXI secolo è ormai un fatto acquisito, anche sulla scia di più corrette riletture  del pensiero kantiano tese a mettere in risalto l’unità di fondo presente nelle  famose tre Critiche incentrate sulle  dimensioni tipiche dell’uomo e cioè la conoscenza, la responsabilità e la speranza, che i processi cognitivi messi in atto implichino ad ogni livello cruciali problemi di carattere etico anche sulla spinta dei loro risvolti tecnologici; nello stesso tempo si sta prendendo sempre più coscienza che tali problematiche, emerse in diversi settori che vanno dalla medicina all’ingegneria e all’economia, richiedono un approccio pluriarticolato all’interno di un più vasto progetto chiamato da più parti ‘filosofia applicata’ che ha lo scopo di verificarne non solo l’aspetto più teorico, sempre comunque necessario e preliminare, ma la consistenza dei risultati ottenuti insieme con l’impatto sulla vita umana. Teso a gettare le basi di quello che viene chiamato ‘modello eco-cognitivo’, si distingue in particolar modo in tale ambito di indagine il filosofo della scienza Lorenzo Magnani che dirige una collana internazionale per la Springer ‘Studies in Applied Philosophy, Epistemology and Rational Ethics’, collana ricca di circa sessanta titoli, dove è apparso uno dei suoi ultimi lavori  The Abductive Structure of Scientific Creativity. An Esssay on the Ecology of Cognition, 2017.

Pur scritto tre anni fa, tale lavoro si presenta molto ricco di prospettive programmatiche e affronta fra le altre cose problemi che in questi ultimi tempi stiamo verificando con  drammaticità direttamente sulla nostra pelle e cioè le cause che possono spiegare la mancanza di strategie cognitive adeguate ad affrontare gli effetti di un virus. Esse  vengono rintracciate essenzialmente nella stessa organizzazione della ricerca scientifica a livello mondiale così come essa è venuta a configurarsi, ad esempio, nelle aziende biofarmacologiche, dove risulta ormai evidente essere in atto quello che viene definito ‘un progressivo impoverimento epistemologico’ pur in presenza di importanti risultati ottenuti nelle università ed enti pubblici. Magnani rileva, sulla base dei risultati di diverse analisi condotte negli stessi Stati Uniti, che si registra un conseguente uso esclusivo delle conoscenze già acquisite sfruttate al massimo delle loro possibilità; e nello stesso tempo fa notare che nei loro laboratori, deputati ad essere dei luoghi aperti alla libera discussione e al confronto critico dei risultati per poter accedere a nuove conoscenze, stanno emergendo degli ‘aspetti negativi’ col mettere a repentaglio la libertà creativa della scienza sino a costituire una ‘sfida per la sua integrità’ per i processi di mercificazione e di commercializzazione a cui viene sottoposta.  Vengono analizzati dei casi in cui succede spesso che uno scienziato diventa imprenditore in competizione con altri e pertanto non è portato a confrontarsi con risultati diversi e a chiudersi in una sua ‘nicchia epistemologica’ con il conseguente anche se non immediato isterilimento delle stesse ricerche; e tutto questo accompagnato da quelle che vengono definite ‘sottoculture invasive computazionali’ dove, ad esempio, i big data vengono dominati da una logica puramente quantitativa e ideologicamente orientata.

Magnani, da tempo impegnato sulla scia di Peirce a ridisegnare i contorni logico-concettuali della struttura abduttiva della ragione e cioè di quei luoghi dove si generano le nuove ipotesi con i vari processi di creatività messi in atto irriducibili a canoni normativi e aprioristici di qualsiasi natura, ha così buon gioco nel denunciare, nell’ultimo capitolo del libro, quelle che  chiama molto opportunatamente ‘irresponsabilità epistemiche’, una visione in cui vengono meno i valori della scienza che sono il ‘rigore epistemico’ e la ‘neutralità dei risultati’ insieme con la loro ‘purezza’ necessari per fare avanzare la libera ricerca, basata sul dissenso e sulla contrapposizione delle idee. Se questi aspetti vengono meno, si annienta la razionalità scientifica sino a renderla falsa e queste sono considerate vere e proprie minacce per la creatività perché portano alla scarsità di teorie e al non confronto comparativo tra teorie rivali. Così la stessa ricerca sui vaccini ha subito inevitabilmente dei ritardi in quanto richiede tempi lunghi dove, come in ogni altro ambito, a volte è necessaria l’analisi profonda di aspetti che magari sembrano irrilevanti e implausibili, ma che poi possono rivelarsi cruciali in base a nuove ipotesi ed evidenze; così può succedere che progetti interessanti, ma che non sembrano avere un potenziale commerciale nell’immediato, vengono tralasciati sino ad impedire lo sviluppo di nuovi farmaci limitandosi ad apportare solo parziali modifiche a delle sostanze già esistenti.

Magnani poi, sulla scia di studi condotti da James Robert Brown e Steve Carney che rispettivamente nel 2000 e molti anni dopo, nel 2016,  hanno evidenziato il declino progressivo di alcune  aziende farmaceutiche (le cosiddette Big Pharma) per la loro incapacità di produrre  conoscenze innovative e di limitarsi a fare solo marketing, sottolinea un fatto sconcertante ma molto indicativo e quasi un paradosso: da un lato la ricerca pubblica ha prodotto negli ultimi anni conoscenze di capitale importanza nel campo della genomica e dall’altro esse non hanno avuto una  applicazione alle patologie umane come le malattie infettive, virali e parassitarie. Queste che sono considerate irresponsabilità epistemiche vere e proprie, dovute all’ideologia neoliberista che secondo il nostro autore ha invaso anche la ricerca di base biofarmaceutica, vengono poi considerate frutto dell’Innovation ASAP, cioè di quelle scelte fatte dalle aziende e incentrate programmaticamente sulla ’innovazione appena possibile’, un modello commerciale positivo per i guadagni e negativo per le  conoscenze che hanno bisogno di andare al di là di quelle acquisite attraverso il processo abduttivo creativo  che consiste nell’individuare una nuova idea ma che può portare al suo  fallimento per poi passare ad una ulteriore ipotesi.

Il volume di Magnani, dedicato non a caso ai suoi studenti proprio per invogliarli come diceva Louis Pasteur alla libera ricerca fuori da ogni tipo di restrizioni, ci offre in maniera dettagliata l’analisi dei diversi aspetti del ragionamento abduttivo che è alla base dei processi di creatività;  si inserisce inoltre in quel vasto capitolo della filosofia della scienza contemporanea che è l’epistemologia sociale che, nata negli USA sul finire del secolo scorso, ha l’obiettivo di indagare i complessi rapporti fra scienza e società, di valutare il ruolo ed il peso epistemico dei diversi attori impegnati nell’ambito cognitivo, gli stessi comportamenti delle comunità scientifiche e le esigenze del pubblico. Per affrontare meglio tutto questo complesso intreccio di problemi socio-epistemici, Magnani utilizza il ‘modello eco-cognitivo’ ritenuto più in grado di far dialogare epistemologia ed etica a vari livelli, sia a livello individuale che a livello collettivo.  Ciò permette  di prendere atto delle reciproche responsabilità finalizzate a creare le condizioni di base per uno sviluppo libero della conoscenza non dominata solo dalle logiche del mercato ma più aperta alle istanze della società civile, che a sua volta viene invitata ad essere più  vigile su ciò che avviene nel variegato gioco di interessi nel campo nella ricerca e nello stesso tempo di essere in grado di percepirne i ‘valori epistemici’ intrinseci; non a caso il ‘modello eco-cognitivo’ o, per usare un termine di Hélène Metzger il  ‘rimedio razionale’, proposto gli permette di allargare le tematiche della  stessa filosofia della scienza assegnandole un nuovo compito più di natura etico-sociale, quello di studiare e denunciare i processi relativi alle ‘irresponsabilità epistemiche’ e quelle situazioni che stanno minando la libertà creativa della ragione scientifica, processi che se non ben individuati come tali possono diventare, com’è già successo storicamente nella prima parte del cosiddetto secolo breve, i primi passi verso il ‘buio della ragione’.


FontePhotocredits: Roberto Strafella
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.