Evolversi per salvarsi

La motivazione è sempre la stessa, «Muharebeh» (inimicizia contro Dio), il presunto animo corrotto che macchia la vita dei manifestanti iraniani, condannati a morte dopo l’uccisione di Mahsa Amini, ragazza ventiduenne giustiziata dalla polizia morale per non aver indossato correttamente l’hijab.

L’ultima vittima dell’assurda sentenza è Kambiz Kharot, ragazzo arrestato recentemente durante dimostrazioni a Zahedan nel sud est del Paese. A renderlo noto è Hrana, agenzia degli attivisti dei diritti umani iraniani. È il quarto dopo la pena capitale comminata a Saleh Mirhashemi Baltaghi, Majid Kazemi Sheikhshabani e Saeed Yaghoubi Kordsofla, responsabili di «attacco terroristico armato» nei confronti di tre membri delle forze di sicurezza.

Sono stati, invece, impiccati lo scorso 7 gennaio due partecipanti alle proteste che stanno soverchiando il regime di Teheran, Seyed Hosseini e Mohammed Mehdi Karami. Entrambi erano stati presi in custodia il 3 novembre.

Ad oggi, secondo i numeri delle agenzie iraniane, sono già 519 le persone decedute per le proteste anti governative. Tra di loro ci sono 70 minori e 68 appartenenti alle forze di sicurezza.

Dati facilmente reperibili in Rete e che ripetiamo non perdendo mai di vista lo sdegno che va raccontato, ancora una volta.

Sì, perché non si può smettere di denunciare finché questa vergogna non sarà terminata, per preservare la libertà associativa, per conservare quei principi ideologici alla base della nostra esistenza, fortunata se si nasce nella zona giusta del Mondo, l’outfit perfetto che fa il monaco ma non certo l’etica, né tantomeno la fede religiosa di un ayatollah fautore d’odio, valore discriminatorio da cui è bene staccarsi per non scadere nel fanatismo fratricida, la via d’uscita per essere se stessi nella decisione di ribellarsi, condicio sine qua non di un’evoluzione più che mai necessaria e salvifica.