OSTAGGIO DEL GOVERNO DEGLI SFASCISTI

Caro Direttore,

osservo da mesi il professor Tria e provo una sincera pena per lui. Uomo onesto e competente, ha accettato di fare il ministro dell’economia in un governo che i numeri disconosce e si nutre di vaghi concetti piuttosto astratti e vuoti di significato. Il premier Conte e i suoi vice (e padroni) Salvini e Di Maio non sanno di numeri, chiacchierano di cose che non conoscono e che camuffano con linguaggio elettorale: decreto dignità, decreto per la crescita e altre amenità, che non significano nulla, ma suonano bene. Il tutto poi arricchito con la quotidiana lagna contro l’Europa che ci affama, quando è vero il contrario, perché l’Europa ci aiuta e ci sostiene (130 miliardi di euro negli ultimi tempi). Il povero Tria si è caricato in spalla la croce del frenatore per non rompere con l’Europa e par cercare di tenere i conti in ordine, in modo da evitare sanzioni e di non spaventare gli investitori.

È evidente che un uomo come lui, sobrio e competente, non poteva che finire nel mirino di questa maggioranza di governo, sguaiata e ignorante. Il professore è da tempo tentato di mandare tutti al diavolo e di tornarsene all’insegnamento, ma è trattenuto da due ragioni: la pressione del presidente Mattarella, giustamente preoccupato delle conseguenze; la sua dignità che non può darla vinta a questo branco di sfascisti. Cosa sarebbe il dopoTria, se non la vittoria dei Bagnai e dei Borghi, tanto per dire dei capofila dei sovranisti antieuro. E allora al professore tocca resistere. In cambio del servizio che rende all’Italia, l’uomo subisce attacchi alla persona e alla famiglia, come nel prontuario e nella prassi dei regimi fascisti e comunisti. Perché a questo siamo ridotti.

Il professor Tria sta pagando la disponibilità a lavorare per il Paese, ma anche l’ingenuità di aver creduto nel governo del Cambiamento nato dalla sommatoria del grillismo eversivo e del leghismo fascistoide. Una miscela prepotente e velleitaria che sta impoverendo e isolando l’Italia dal mondo civile. E, per colmo della beffa, il nostro professore rischia anche di essere travolto, senza colpa, insieme al branco di improvvisatori che, forti del consenso, si sono convinti di essere degli statisti. Povera Italia!


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Pugliese errante, un po’ come Ulisse, Antonio del Giudice è nato ad Andria nel 1949. Ha oltre quattro decenni di giornalismo alle spalle e ha trascorso la sua vita tra Bari, Roma, Milano, Palermo, Mantova e Pescara, dove abita. Cominciando come collaboratore del Corriere dello Sport, ha lavorato a La Gazzetta del Mezzogiorno, Paese sera, La Repubblica, L’Ora, L’Unità, La Gazzetta di Mantova, Il Centro d’Abruzzo, La Domenica d’Abruzzo, ricoprendo tutti i ruoli, da cronista a direttore. Collabora con Blizquotidiano.  Dopo un libro-intervista ad Alex Zanotelli (1987), nel 2009 aveva pubblicato La Pasqua bassa (Edizioni San Paolo), un romanzo che racconta la nostra terra e la vita grama dei contadini nel secondo dopoguerra. L'ultimo suo romanzo, Buonasera, dottor Nisticò (ed. Noubs, pag.136, euro 12,00) è in libreria dal novembre 2014. Nel 2015 ha pubblicato "La bambina russa ed altri racconti" (Solfanelli Tabula fati). Un libro di racconti in due parti. Sguardi di donna: sedici donne per sedici storie di vita. Povericristi: storie di strada raccolte negli angoli bui de nostri giorni. Nel 2017 ha pubblicato "Il cane straniero e altri racconti" (Tabula Dati).