TRA UNA DIFFICILE LEGITTIMAZIONE INTERNAZIONALE E UNA GUERRA SEMPRE DIETRO L’ANGOLO

È stata una notte tranquilla ai valichi di confine tra Serbia e Kosovo.

Niente code, niente barricate.

Oggi tutto procede normalmente, come ogni giorno, se così si può dire. Il 1° agosto Priština ha annunciato che provvederà ad una nuova immatricolazione dei veicoli e delle carte di identità dei cittadini serbi i quali, insoddisfatti di queste misure, hanno protestato costruendo barricate e bloccando la strada, innalzando il livello di tensione tra i due Paesi balcanici. Ci sono stati inoltre degli spari al confine e sono state mosse le forze speciali di Priština. Il Presidente della Serbia Aleksandar Vučić  ha usato parole forti, risolute, riconoscendo il livello massimale della tensione e la volontà di lavorare per la pace, ma promettendo ai suoi concittadini l’intervento in caso di pericolo. Un’escalation sventata dall’intervento degli Stati Uniti, che hanno una certa influenza su Priština, che agli americani devono tanto e che hanno fatto di Bill Clinton e del Segretario di Stato all’epoca dei bombardamenti, Madeleine Albright, deceduta lo scorso 23 marzo, (ironia della sorte lo stesso giorno della decisione di bombardare Belgrado) degli eroi. Washington ha suggerito di rinviare di un mese tale decisione.

Proroga è una parola che potrebbe far rima con guerra.

Il Kosovo è uno Stato Indipendente dal 17 febbraio 2008. Va detto che il Paese è sotto l’egida dell’ONU e che è stato riconosciuto da più di cento Stati, con le eccezioni di Russia e Cina, che fanno parte del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, di Spagna, che ha al suo interno diverse spinte secessioniste di cui la più importante è quella della Catalogna, di Romania, Cipro, Slovacchia, Grecia e naturalmente della Serbia che da sempre la ritiene parte del suo territorio. Seguirono subito le proteste dei cittadini serbi che scaricarono tutta la loro rabbia contro l’Ambasciata americana a Belgrado, che un tempo si trovava in Kneza Miloša e che fu data completamente alle fiamme.

Il fuoco tra i due Paesi, che continua a bruciare, è stato innescato dalla guerra del 1999 che chiuse le guerre jugoslave. In quella occasione la NATO decise di intervenire con l’operazione Allied Force e di bombardare la Serbia, senza alcuna autorizzazione delle Nazioni Unite, la stessa cosa che i russi hanno fatto in Ucraina, lo stesso orrore.

Da allora, periodicamente, i dissapori  tra Priština e Belgrado si alimentano con molto poco.

Attualmente in Kosovo vivono 50000 serbi e vivono costantemente in  tensione con gli albanesi. Prima della guerra la presenza dei serbi in Kosovo era del 35% circa al fronte della maggioranza albanese. Con il conflitto le cose sono ovviamente cambiate e la popolazione serba è diminuita drasticamente. I serbi hanno lasciato la regione per raggiungere le città più grandi della Serbia o del resto d’Europa, godendo anche del diritto di asilo internazionale. Ovviamente all’epoca del conflitto, i nostri media hanno giustificato la necessità dell’operazione militare in favore degli albanesi che chiedevano la loro terra, ingiustamente posseduta dalla Federazione di Jugoslavia.

A loro volta i serbi rivendicano storicamente il territorio a partire dal 1389, data della famosa battaglia della Piana dei Merli, combattuta contro l’Impero ottomano da una coalizione serbo bosniaca. Lo stesso termine Kosovo è di derivazione serba: è la forma possessiva del sostantivo kos (merlo) che alla lettera significa “del merlo” e che è stato poi associato a polje (campo), da cui Campo del Merlo. La “Fratellanza e l’Unità” ha retto finché il padre e padrone della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Josip Broz Tito, è rimasto in vita. Quando il collante ideologico è venuto a  mancare, gli scricchiolii nella Federazione si sono tramutati in crepe non più ricongiungibili. Lo stesso è avvenuto in Kosovo che ha goduto anche di maggior autonomie a partire dalla Costituzione della Federazione del 1974, ma la voglia di indipendenza ha prevalso nella fazione albanese, prima attraverso la resistenza non armata di Ibrahim Rugova, poi con le azioni paramilitari dell’UÇK. Ma parliamo di albanesi che vivono in Kosovo, non di kosovari. Noi abbiamo bene in mente che cos’è un francese, un inglese o un italiano, nazionalità che si sono fondate su un territorio ben definito, con una lingua propria e un popolo che riconosce la sua identità culturale e storica. In Kosovo parliamo di abitanti che si sentono albanesi e che parlano la stessa lingua di Tirana e che magari sognano la grande unificazione albanese. Mesi fa, una donna albanese con cui ho parlato, si è mostrata orgogliosa dell’indipendenza kosovara affermando :”ce l’abbiamo fatta finalmente! ”

Cosa c’è da aspettarsi allora? Molto dipenderà dalla capacità delle Potenze internazionali di gestire la situazione. L’UE ha già invitato le due parti a incontrarsi per l’ennesima volta, perché ha cuore l’integrazione dei Balcani occidentali, sapendo benissimo che le tensioni serbo albanesi compromettono l’ingresso di Belgrado e Priština nell’Europa dei 27. Ma finché Belgrado non riconoscerà l’indipendenza kosovara, e vi assicuro che non accadrà mai, il processo resterà in stallo. Alla luce di quanto avviene in Ucraina, che combatte lo stesso tipo di guerra vent’anni dopo, questi focolai potrebbero allargare il conflitto in maniera pericolosa e la Russia potrebbe utilizzarli per incendiare l’Europa, in uno scontro frontale tra potenze atomiche, evitato 23 anni per poco proprio in Kosovo(il cantante James Blunt dice per suo merito, andate a leggere sull’Enciclopedia Libera). Gli Stati Uniti fanno sempre il bello e cattivo tempo. Mentre adesso sono mediaticamente impegnati con il caso Taiwan, hanno consigliato di rinviare al futuro incerto la risoluzione di un problema di non poco conto, essendosi sempre posti come garanti di un’indipendenza formale e fragile. Tra un mese il problema si riproporrà e allora anche Washington dovrà cercare di mediare una soluzione, evitando di alimentare polveriere che possono scoppiare all’improvviso e che nei Balcani soprattutto hanno un effetto dinamitardo, in quel caso molto più pericoloso per l’Europa intera.

Gavrilo Princip docet.