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Nella sua città natale, Riccardo Casamassima si confessa in una intervista pubblica

Andria, domenica 4 novembre, Auditorium Mons. G. Di Donna, le 19 passate, l’appuntato dei Carabinieri Riccardo Casamassima, che con la sua testimonianza ha fatto riaprire l’inchiesta sulla morte di Stefano Cucchi, è ospite dell’Associazione IdeAzione. Lo intervista Adriana Scamarcio, del direttivo dell’Associazione. La sala è piena, tutti ascoltano in silenzio, qualche colpo di tosse interrompe brevemente la quiete, ma non disturba.

L’appuntato, 40enne originario di Andria, sul palco sembra intimorito, quasi fuori luogo, ed esordisce al microfono dicendo: «Ho deciso di intraprendere la carriera militare a 18 anni perché ci credevo e ci credo ancora nelle Istituzioni e vedo il mio lavoro come un riferimento per la gente. Questa sera vedrete il film su Stefano Cucchi e il messaggio che deve passare è importante: il lavoro che noi rappresentiamo non è quello che vedrete nel film, in cui un ragazzo viene massacrato di botte e le motivazioni purtroppo non si sanno, non si riesce a comprendere come mai una persona, due persone, siano arrivate a fare delle tali azioni nei confronti di un ragazzo. Il messaggio è un altro: è una cosa inaccettabile che chi sta nelle mani dello Stato, e dovrebbe essere messo nelle condizioni di tornare a casa, subisca invece quel che è successo a Stefano Cucchi. Questo ragazzo è entrato sano in caserma ed è uscito da morto, quindi vi invito a riflettere parecchio e a prendere dal film il giusto segnale: quello che effettivamente le forze dell’ordine fanno su strada».

Alla domanda «Perché testimoniare dopo tutti questi anni?», Casamassima risponde: «La testimonianza è nata dopo sei anni e non è nata subito perché all’epoca tutto l’iter del processo non era stato seguito, cioè non avevo seguito tutto quello che stava succedendo. Ho deciso di testimoniare quando mi sono reso conto, fine 2014, che erano state condannate delle persone innocenti e che quindi quello che noi avevamo appreso sin da subito, parlo sia di me che della mia attuale compagna che lavorava con me all’epoca dei fatti, era fondamentale per poter dare la verità alla famiglia che la stava cercando, alla sorella Ilaria che la cercava in modo disperato. Poi c’è stata anche una frase che mi ha colpito dei genitori che alla fine del primo processo, presi dalla disperazione, dicevano “Adesso torniamo a casa e troviamo nostro figlio”.

Rimanere insensibili, rimanere fieri davanti a una tale cosa diventava difficile, quindi abbiamo ritenuto di dover testimoniare anche se la scelta è stata una scelta combattuta per eventuali problematiche che poi attualmente sono verificate, infatti subito dopo la deposizione in aula mi è arrivato il trasferimento fatto proprio per danneggiarmi. La mia situazione lavorativa è un demansionamento, quindi non vai a fare quello che ti piace ma soprattutto il segnale che passa è un segnale sbagliato perché una persona che vorrebbe poter denunciare situazioni analoghe potrebbe prendere per esempio quello che è successo a me, quindi andare a compromettere la famiglia quando hai i figli piccoli, quando hai le spese che una famiglia media italiana si trova ad affrontare, poi comincia a rappresentare tutto questo un problema».

Adriana Scamarcio incalza: «Pensi di rimanere nell’arma dei Carabinieri, di continuare a fare questo lavoro?». La risposta non si fa attendere: «Io mi auguro di rimanere e di poter fare quello che ho sempre fatto, di fare il mio lavoro, quello per cui sono partito da Andria, di poter stare per strada».

L’ultima domanda: «Cosa ti senti di dirci oggi, a seguito di quello che è accaduto nei confronti anche della famiglia di Stefano Cucchi?». Casamassima risponde: «Io penso che la famiglia abbia bisogno proprio del sostegno di tutti quanti, anche se il processo sta andando avanti …le idee sono chiare su tutto quello succede …però penso che proprio la famiglia abbia bisogno della vicinanza di tutti quanti, una vicinanza che si può far sentire tramite i social che rappresentano un mezzo che, se usato bene, può avere un forte potere per questo tipo di argomenti, proprio per denunciare situazioni, per denunciare violenze in qualsiasi contesto che può essere il contesto scolastico, il contesto famigliare o anche lavorativo».