“In ginocchio da te” di Gianni Morandi è solo una delle colonne sonore di “Parasite”, film vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, e di ben quattro Premi Oscar, fra cui Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura Originale, Miglior Film Internazionale e Miglior Film.

Diventando la prima pellicola sudcoreana a trionfare in queste categorie, “Parasite” è stato anche il primo lungometraggio non in lingua inglese ad aggiudicarsi la statuetta come miglior film straniero e miglior film in assoluto.

La particolarità del regista e sceneggiatore Bong Joon-ho non la si evince solo dalla scelta bizzarra di un brano italiano, ma anche dalla visione a 360 gradi del nostro movimento cinematografico, attitudine, questa, che ammicca allo stile di Quentin Tarantino, uno stile riscontrabile nella violenza inaspettata di alcuni frame e nei tratti, surreali e kafkiani, dei suoi personaggi la cui maschera sembra essere presa in prestito sia dal teatro pirandelliano che da quello di Eduardo Scarpetta nel suo rappresentatissimo “Miseria e Nobiltà”.

Teatro realistico e fantasioso, dicevamo, teatro dell’assurdo di beckettiana memoria, situazioni paradossali della famiglia Kim che vive di alti e bassi, cibandosi di stenti e bevendo champagne, abitando location ed emozioni altalenanti che segnano l’evidente contrasto fra povertà e ricchezza, la scalata sociale da intraprendere arrampicandosi su specchi invisibili, le finestre serrate di un bunker, segreti con cui ricattarsi a vicenda.

Distribuito da Barunsun E&A, “Parasite” cattura l’attenzione di critica e pubblico per l‘impossibilità di essere catalogato in un solo genere cinematografico. E’ una commedia che profuma di tragedia, la comicità al gusto di dramma, un noir che, attraverso le istrioniche movenze dei protagonisti, parrebbe dar voce ai film muti degli Anni Trenta.

L’equilibrio sottile su cui passeggia “Parasite” viene bruscamente interrotto dalla voglia di verità. La delicatezza del racconto è simile a quella con cui un gentleman scorterebbe la sua dama fino a casa, una casa sfarzosa e vuota, messa lì da contraltare alla bettola piena di scarafaggi dell’inizio.

“Parasite” ci insegna che a questo mondo avere la puzza sotto al naso non conviene a nessuno. Il rischio è di demonizzare il diverso, di giudicare secondo i criteri di una società malata, di essere pupazzi prima ancora che essere umani, di dimenticare quanto sia entusiasmante essere sfavoriti e, nonostante tutto, raggiungere ruoli apicali, come stelle o luci ad intermittenza, il Codice Morse che lancia un meraviglioso ma opinabile messaggio d’amore.

Il miglior piano nella vita è quello di non farsi mai dei piani…” Kim Ki-Taek