Da un’opera di Gaston Bachelard

‘La matematica è musica della ragione’ ha affermato il matematico inglese, di origine ebraica, James J. Sylvester (1814-1897)  grazie alle  sue ‘ali’ che permettono di rimanere ‘giovani’ nell’animo in quanto, a dirla con un altro matematico come Hermann Grassmann, in essa si è in vigile attesa di un evento significativo  con l’averne il giusto ‘presentimento’ nel tentativo di coglierne i diversi enjeux, nel senso avanzato da Gilles Châtelet (Gilles Châtelet: le virtualità di una vita, 25 novembre 2021); e se si è dei ‘matematici con le ali’, come definirà qualche decennio dopo Henri Poincaré sia Évariste Galois che Bernhard Riemann, si è in grado di pensare campi inesplorati, di ‘pensare il reale’ e di farlo ‘cantare’, come dirà Gaston Bachelard in diversi scritti nel prendere in esame la struttura concettuale della fisica del primo Novecento dalla relatività alla meccanica quantistica. Ed il reale relativistico e quello della relatività generale in particolar modo ha potuto  trovare la sua giusta ‘musica’ e così ‘cantare’ grazie alla ricchezza implicita nella raison mathématique e alle sue ‘ali’, oggetto sin dalla stagione cartesiana di una costante attenzione da portare in Francia alla costituzione di una specifica tradizione di ricerca confluita nella philosophie mathématique; in essa, infatti, grazie ai fondamentali contributi degli italiani Gregorio Ricci-Cubastro e Tullio Levi-Civita,  è emerso il calcolo tensoriale, “vero e proprio metodo di invenzione” per l’epistemologo francese che per capirne la portata filosofica ha messo in piedi un programma di ricerca, continuato in diversi lavori, imperniato sul “valore induttivo delle nuove matematiche”. In tal modo sono state liberate da visioni empiristiche, pragmatiste e strumentalistiche, grazie ad una diversa lettura dei risultati raggiunti  da David Hilbert ed Hermann Weyl e al confronto critico con le prime interpretazioni delle dottrine relativistiche da parte di  Moritz Schlick, Hans Reichenbach e del fisico Eddington; e tutto questo viene preso in esame in particolar modo in un’opera del 1929 Il valore induttivo della relatività, ora dopo alterne vicende disponibile in versione italiana e con relativa introduzione a cura di Maria Rita Abramo, con prefazione di Giuseppe Gembillo e postfazione di Charles Alunni (Milano-Udine, Mimesis 2024), i cui contributi hanno il merito di contestualizzare tale lavoro sia nei dibattiti avvenuti negli anni ’20  in Francia e sia di far vedere le incomprensioni  di natura filosofica ed il ‘conservatorismo’ in Italia nei confronti della relatività.

Ed è arrivato, pertanto, grazie anche al fatto che le edizioni Mimesis ospitano la rivista internazionale Bachelard Studies e hanno pubblicato altre due opere bachelardiane come Il nuovo spirito scientifico (1934), unica opera che in Italia ha avuto precedentemente due edizioni da parte di editori differenti, nel 2018 e il Saggio sulla conoscenza approssimata  (1928) nel 2016, il momento che può segnare  una “svolta”, una renaissance degli studi su tale figura, oltre a “rinforzare la French-Italian connection”, che si era configurata già su solide basi nei primi decenni del secolo scorso grazie allo sforzo di Federigo Enriques, come ha affermato in varie occasioni Charles Alunni curando uno degli ultimi numeri di  Bachelard Studies. E tale ‘svolta’ trova le sue radici nel fatto che grazie a degli studi portati avanti da diverse parti, sta sempre più venendo meno quell’accusa rivolta a Gaston Bachelard di ‘deviazione letteraria’ della sua epistemologia da parte di  René Thom, ad esempio, o di altri anche in Francia che non sia un filosofo della scienza tout court in quanto lontano dalla tradizione che poi è diventata la cosiddetta Standard Wiew nell’ambito degli studi epistemologici, solo perché ha rivolto parte dei suoi interessi al mondo della poesia, interessi che tra l’altro gli hanno permesso di arricchire lo stesso vocabolario filosofico-scientifico (Gaston Bachelard, filosofo delle e tra le 24 ore, 6 agosto 2020).

Ma la ragione di tale modo di vederlo sta nel fatto che per motivi filosofici, legati alla necessità di comprendere la piena portata del ‘nuovo spirito scientifico’ del primo Novecento, Gaston Bachelard ha insistito sulla necessità di cambiare stile con l’introdurre un nuovo linguaggio e inedite categorie di pensiero col rompere con le tradizioni empiristica e razionalista, ritenute non più in grado di fare i conti con la complessità crescente di ciò che accadeva nell’ambito delle diverse discipline; le sue opere epistemologiche, già dai titoli dalla prima del 1928 all’ultima del 1953, sono ricche di proposte, di nuovi lemmi e termini che visti con l’ottica dell’approccio analitico sono sembrati poco rigorosi.  Ma molte delle sue idee, come le più note ‘ostacolo epistemologico’ e ‘rottura epistemologica’,   diventate patrimonio comune al di là spesso dello stesso autore, sono state messe in campo in quanto le vecchie  impalcature concettuali possono fungere da ‘ostacolo epistemologico’, anche nella stessa filosofia della scienza; così a vecchi termini è stato dato un nuovo significato come al concetto di ‘induzione’, al centro di tale opera di non facile comprensione in quanto richiede la messa tra parentesi della vecchia idea, opera  ben tradotta da Maria Rita Abramo, già traduttrice di un altro significativo testo come L’esperienza dello spazio nella fisica contemporanea del 1937, dove si è alle prese con la comprensione critica dell’apparato matematico dello spazio vettoriale e degli spazi hilbertiani; e come ogni cambiamento di significato apportato a partire dal concetto di connaissance approchée, esso è frutto della metabolizzazione epistemica del  carattere delle ‘nuove matematiche’, dei processi di inventività, del ruolo ivi giocato dall’immaginario come nei lavori di Chasles e di Sylvester, dei loro processi di generalizzazione e di astrazione col  mettere le ‘ali’ e fungere spesso da avanscoperta del reale, come il calcolo tensoriale che, pensato in sede prettamente matematica, viene a “modificare profondamente lo spirito della scienza fisica” col suo “impulso a dare al progresso della scienza fisica la sua forza e la sua direzione”, con lo spiegare la stessa “ricchezza inferenziale” del pensiero einsteiniano.

Ma come diceva Federigo Enriques, figura tenuta presente da Bachelard in Il nuovo spirito scientifico e La formazione dello spirito scientifico del 1938 e da altri epistemologi francesi da Albert Lautman a Jean Piaget, tutto si fa ‘per la scienza ed in servigio della scienza’, per individuare le sue ‘ragioni’ costitutive da quella più teorica a quella storica, per farne risaltarne ‘l’anima filosofia nascosta nei suoi fondi’, a dirla con Moritz Schlick; e per questo in Il valore induttivo della relatività viene sentita la necessità di fare “apologia della complessità in matematica”, dato che essa è spesso misconosciuta col dimenticare che è stata la prima scienza costruita dall’uomo  liberatasi  dalla ‘schiavitù dei fatti bruti’  col mutuare niente dalla realtà immediata, a dirla con lo stesso Enriques e Poincaré, per poi “cercare il generaleattraverso le vie induttive” dove “l’induzione… è l’invenzione che passa al rango di un metodo”. Per questo si parla di “conquista induttiva della Realtà” con l’evidenziare “un principio di grande portata filosofica” su cui per l’epistemologo francese non si riflette mai abbastanza, come da parte di filosofie di matrice empiristica: “le vie della generalizzazione ci sveleranno elementi del reale che sfuggirebbero a uno studio approfondito del caso particolare, sempre affetto da relatività”. In tal modo “l’ordine della scoperta prevale sull’ordine della verifica soprattutto in una ricerca che mira all’organizzazione sistematica di un pensiero nuovo” dove è importante prendere atto che “realtà e possibilità” sono dei “mezzi mobili e sostituibili di una costruzione razionale”.

Un altro non secondario problema affrontato in tale opera è il tema dell’oggettività, già avvertito in tutta la sua cogenza filosofico-scientifica da Ludwig Boltzmann quando si chiedeva come ‘garantirla pur in presenza di  continui cambiamenti’, e divenuto uno dei più cruciali problemi della filosofia della scienza e del pensiero più in generale in quanto in esso ci si confronta col problema dei rapporti tra scienza e reale, conoscenza e verità; e Bachelard evidenzia il fatto che quando si esaminano i principi generali della relatività, si arriva a comprendere che essi sono ”condizioni di oggettività piuttosto che proprietà generali dell’oggetto”. E quello che viene definito uno degli “aspetti più significativi“ è che essi principi hanno un carattere “formale” , un “lato formale” col loro “carattere aprioristico” nel senso che a dati sperimentali, come la velocità della luce, “si è fatta subire “la strana concettualizzazione” con “l’incorporarla nella geometria pura dello spazio-tempo”, come alla stessa esperienza di Michelson,”causa occasionale della scoperta di una ‘velocità fondamentale’” e frutto della “costruzione attraverso l’algebra… di condizioni interamente a priori concernenti le trasformazioni di coordinate dello spazio-tempo”. Emerge già in Il valore induttivo della relatività in tutta la sua pienezza teoretica, poi ancora di più sviluppato nelle opere successive, il valore costruttivo della scienza, dove “la realtà appare come un esempio di costruzione”, dove risulta strategico il fatto di “avere costruito la Realtà” e quindi la coscienza critica che “la direzione del movimento epistemologico è veramente, in Relatività, inversa rispetto al movimento del Realismo”.

Bachelard, già in quest’opera, getta le basi di quella che si può chiamare una vera  e propria epistemologia della fisica-matematica, dove la matematica “assicura il dinamismo del pensiero”, grazie al suo valore “sintetico, ciò che è evidentemente fecondo”; e la stessa fisica “nel suo metodo e non nel suo oggetto, è sempre implicata… in una matematica” e contro le visioni comodistiche della descrizione matematica, si insiste sul carattere creativo in quanto, ad esempio, la forma riemanniana è particolarmente ricca di impulso epistemologico” in quanto “permette di prevedere. È un vero e proprio avvenire per il pensiero”. E contro le posizioni naïves di certo realismo ad una dimensione e di natura riduzionistica non in grado di cogliere il significato della relatività, si ritiene necessario mettere da parte la domanda “dov’è il reale” e chiedersi: “in quale direzione e attraverso quale organizzazione di pensiero si può avere la sicurezza che ci si approssima al reale?” La relatività, grazie al suo apparato matematico, “va in senso contrario all’empirismo” in quanto “parte dal generale” che viene reso “moltiplicato”, ed in tale “generalità moltiplicata” si trova “la via che conduce alle specificazioni”, dove ad esempio l’elettricità appare sempre più generale; in tal modo poi, “vivendo sul piano del pensiero scientifico rinnovato dall’ipercriticismo relativistico”, si arriva a prendere atto che “l’essenza è una funzione della relazione”. La fisica-matematica, così come viene a situarsi nella relatività, mette di fronte a “realtà tardivamente definite”, come frutto del “compimento di un pensiero” dove il reale si manifesta come “una conquista, non una scoperta” e dove “il nostro pensiero va al reale, non parte da esso”;  e così si ha sempre a “che fare con una realtà che si formava accumulando relazioni”, processo che come tale è dinamico e teso alla “conquista dell’oggettivo”, come si evidenzia nell’ultimo capitolo, o meglio del ‘più oggettivo’ per parafrasare un’espressione di Federigo Enriques.

La pubblicazione di quest’opera del primo Bachelard permette già di individuare alcuni punti fermi  o ‘avvisaglie’, come sottolinea  Maria Rita Abramo nell’introduzione, del suo percorso successivo che sarà contrassegnato da ulteriori tappe, sempre frutto del mettersi alla schola degli scienziati come dirà a proposito dei maestri quantistici; il successivo e lungo confrontarsi con essi, e Heisenberg in particolar modo, gli permetterà di ‘cogliere i limiti della rivoluzione relativistica’ pur avendo operato una significativa rottura col passato, consistenti nel fatto che in essa la fisica-matematica è ancora intrisa di residui di un certo realismo, mentre la nuova fisica quantistica è il regno dell’abstrait-abstrait, aspetto che sarà al centro di opere successive. Ma Il valore induttivo della relatività mette in atto un percorso articolato dove, oltre a delineare un particolare  metodo nell’analisi di un  concetto come quello di  induzione, lo si fa uscire fuori dagli schemi e dalle impalcature concettuali tradizionali,  con evidenziarne diverse ‘virtualità’ e mobilités che, in La Philosophie du nondel 1940, confluiranno nei termini surrationnel e surrationalisme proprio per cogliere ‘il valore realizzante della scienza… quello slancio logico che consente all’attività razionalistica di procedere allargandosi progressivamente’, come scrive Maria Rita Abramo, a cui bisogna essere grati per questa operazione culturale. C’è solo da rammaricarsi del fatto che nella storia della filosofia della scienza il confronto con tale lavoro non sia avvenuto, come del resto con l’intera opera bachelardiana, e che avrebbe sicuramente arricchito di altre tematiche prima la già cospicua  koiné inaugurata dalla letteratura dei Maestri viennesi e poi quella della cosiddetta ‘nuova filosofia della scienza’; e anche se come ha dichiarato  qualche decennio fa Ian Hacking siamo ‘tutti, in misura non nota, discepoli intellettuali’ di Gaston Bachelard da diventare non a caso un punto di riferimento negli attuali dibattiti dell’epistemologia storica, è arrivato il momento di confrontarci direttamente con le sue proposte in quanto ci ha dato della raison scientifique una visione a più dimensioni e per aver aperto anche una ‘via della complessità’, come ha scritto Edgar Morin nell’ormai classico Le sfide della complessità.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.

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