Le virtualità di una vita

Il panorama filosofico francese nel corso dell’intero Novecento è stato ricco di figure molto note anche al grande pubblico come prima Bergson, Bachelard e Sartre e poi Lacan, Althusser, Foucault, Derrida, Deleuze ed in questi ultimi tempi Edgar Morin e Michel Serres, solo per citarne alcune, per aver dato dei singolari contributi   in diversi campi di ricerca e aver messo al centro dell’attenzione non solo teorica problemi cruciali della contemporaneità; ma ce ne sono state molte altre che lo hanno quasi di nascosto arricchito di ulteriori capitoli e prospettive, e ancora più originali, soprattutto nel campo degli  studi storico-epistemologici col dare ai ‘problemi della scienza’ e della tecnica, per usare un’espressione di Federigo Enriques, un ruolo prioritario con  anche inediti risvolti etico-politici sino a costituire una vera e propria tradizione di ricerca, che fa da plafond a molti dei dibattiti affrontati dai maggiori protagonisti sopra citati ed oggetto in questi ultimi tempi di una riscoperta critica sia pure tardiva.

Si è distinto in tale ambito Gilles Châtelet (1944-1999), poliedrica e singolare figura  di formazione matematica che, pur provenendo dal mondo scientifico cosa che in Francia costituisce una consolidata e secolare prassi a partire da Cartesio sino ad Henri Poincaré,   ci ha lasciato diverse opere di carattere filosofico sulla struttura concettuale della fisica matematica come Les enjeux du mobile. Mathématique, physique, philosophie  scritta nel 1993 (trad. it. Milano-Udine, Mimesis, 2010) e una serie di saggi raccolti postumi raccolti da Charles Alunni e Catherine Paoletti in L’enchantement du virtuel (2010); in tali scritti viene portato avanti un programma di ricerca condotto come docente di Matematica in quell’Università sperimentale  che fu  Vincennes Saint-Denis, ora  Paris VIII e come direttore dal 1989 al 1995 del Collège International de Philosophie col collaborare alle attività del Laboratoire disciplinaire ‘Pensée des sciences’ e interrotto in seguito al suicidio.

Tale percorso è stato costantemente coniugato con una profonda conoscenza della filosofia idealista e romantica tedesca delle quali ha letteralmente rivoluzionato la visione d’insieme  ed è approdato  ad una visione non analitica delle matematiche col metterne in evidenza i momenti creativi  con rigorose analisi del ruolo dei diagrammi nella storia del pensiero scientifico e con una rilettura dei contributi di scienziati come Grassmann, Hamilton, Maxwell, Faraday e Argand, scienziati quasi eterodossi per aver messo in atto metodologie e mouvements  di pensiero non proprio in sintonia con quelli prevalenti. L’abbeverarsi alle fonti di Siloe dei diagrammi, che nella storia del pensiero scientifico hanno avuto spesso la funzione di introdurre di nascosto ed in maniera ‘laterale’ idee proibite dal milieu filosofico-scientifico esistente, ha permesso a Châtelet di  porre le basi del ‘pensiero laterale o ‘pensiero diagrammatico’, oggi alle centro dell’attenzione critica in diversi centri di ricerca filosofico-scientifici; esso è teso a comprendere le diverse ragioni e non lineari vicende dell’universo composito delle scienze con le relative ‘poste in gioco’ da quelle più propriamente teoretiche a quelle etico-politiche,  la pensée des sciences nel suo complesso col dare la dovuta attenzione a quello che chiama, sulla scia di Gaston Bachelard, le mobile scientifique  e i diversi passaggi da una scienza all’altra con le relative implicazioni in sede  più propriamente filosofica.

La costante attenzione critica al mouvement, implicito nelle scienze e ai loro particolari modi di andare a controcorrente e di mettere in discussione le diverse ortodossie con i conseguenti enjeux  (poste in gioco) che provocano, gli ha permesso da un lato di farsi difensore di una ragione filosofico-scientifica decisamente non analitica e nello stesso tempo di essere una figura, come altre in ambiente francese, militante con spostare lo sguardo alle vicende politiche del suo paese e alla situazione internazionale col denunciare le diverse forme di potere proprie delle società neo-liberali dove vige quella che chiama  “democrazia-mercato” in un volume scritto nel 1998 dal provocatorio titolo Vivere e pensare come porci. L’istigazione all’invidia e alla noia nelle democrazie-mercato (trad. it. Milano, Ed. Meltemi, 2021 a cura  di Mimmo Pichierri); anche se in Francia provocò un certo dibattito, è passato quasi inosservato in prima traduzione italiana avvenuta nel 2002, fatto anche dovuto al particolare uso di  uno stile non facile e fatto di continui ricorsi a metafore e a neologismi anche per combattere di proposito la cosiddetta ‘chiarezza’ di certa filosofia analitica ritenuta in un certo qual modo complice del “consenso” nei confronti di quella chiamata “Controriforma neoliberale”, come viene messo in evidenza in un’altra raccolta postuma di scritti politici dal titolo  Les animaux  malades du consensus, curata da Catherine Paoletti nel 2010. Ma come avverte nell’introduzione Mimmo Pichierri, è ancora molto utile per capire la situazione italiana e mondiale  dove vige il tecnopopulismo e dove tutto viene manipolato per portare le masse ad essere un “bestiame cognitivo”, per “fabbricare centinaia di milioni di psicologie da rinoceronte e riserve di immaginario per i capibranco dell’individualismo di massa”; in tale situazione hanno avuto una certa responsabilità molti intellettuali di sinistra che sono venuti meno al loro dovere di intelligenza critica, ridotti ad essere Giardinieri del creativo per il  modo disinvolto di “giocarsi fino in fondo Nietzsche contro Hegel e spesso contro Marx” e di ritrovarsi “Malthus, il venditore ambulante dei conservatorismi più infami, sempre sorridente e affabile, che attendeva il babbeo al varco per mercanteggiare con lui tutta la paccottiglia libertariana del nomadismo e del caotizzante”.

Vivere come porci è, pertanto, un “lavoro assolutamente irriverente ed incendiario”, che non risparmia nessuno e “colpisce al cuore la stanca consensualità  del pensiero contemporaneo (dal pragmatismo anglosassone alla cosiddetta teoria dell’agire comunicativo di Habermas)” come indicava già nel 2002 Mimmo Pichierri; ed è incentrato sulle diverse e sofisticate strategie del consenso messe in atto nelle nostre democrazie per rendere  meno innocui gli effetti perversi del pensiero unidimensionale e rivolte a soffocare sul nascere qualsiasi forma di resistenza. Ma per fare resistenza e “rifiutare un destino da bestiame cognitivo”, occorre mettere in atto per Châtelet una “filosofia militante”, una “futura lotta politico-filosofica” che parta dall’idea che “l’uomo ordinario, questo essere singolare che non è mai prodotto, né finito e non venga confuso con l’Homo eco-communicans delle democrazie-mercato”; ma è necessario in primis lavorare nel mondo delle idee  per porre criticamente fine a “questa cretinizzazione soft all’anglosassone – la sua ‘rortyficazione’” col fare “più moti e meno moda”, in continuità con le riflessioni epistemologiche imperniate sui momenti o ‘moti’ più creativi delle scienze fisico-matematiche, ma liberate dalle zavorre scientistiche che le hanno neutralizzate col renderle supporto di ideologie di stampo totalitario prima e poi strumenti più sofisticati di consenso.

Così tale figura di epistemologo, che per tutta la vita ha lottato contro ogni forma di dogmatismo in ogni campo, ci consegna in questo lavoro da un lato una vera e propria ‘brezza corrosiva’, come la chiama Mimmo Pichierri, contro ogni ordine cyber-mercantile imposto; e nello stesso tempo dall’altro lato una pars construens a cui sono invitati gli “operai della conoscenza o cognitivi” che non devono “rassegnarsi alla produzione industriale della morte cognitiva” e all’idea che “la Verità non esiste, punto, né totale, né parziale, lasciamo fare ai flussi”.  Per questo,  devono mettere in atto nei contesti in cui si trovano ad operare dei ‘moti’ col rivitalizzare il pensiero critico e polidimensionale   che, per sua natura, nutrendosi della linfa o esprit vitale delle scienze nel ‘pensare con  e attraverso di esse’ nel senso bachelardiano, non può cadere in posizioni unilaterali proprio in virtù dei loro lasciti veritativi e della loro ‘mobilità’ che per Châtelet si traduce in campo più politico in un maggior spazio da dare alle libere attività o ‘virtualità’ del soggetto, irriducibili alle logiche della ‘democrazia-mercato’.

In questo processo di riforma radicale del pensiero, auspicato con altre parole da Edgar Morin, e di vera e propria riconversione in senso eco-cognitivo nel senso poi proposto da Lorenzo Magnani, il percorso di Châtelet mostra tutta la sua irruenza e particolarità nel situarsi in una visione del mondo imperniata in modo strutturale sul rapporto tra ‘moti’ e libertà, e nel dare centralità ai processi di autonomia del soggetto con le sue “potenze formatrici immanenti che portano alla costituzione dell’individualità di un popolo”. Ma tutto questo è frutto da una parte delle diverse esperienze di vita tutte contrassegnate da varie forme di resistenza attiva, e dall’altra dall’immersione nei problemi più cogenti della nostra contemporaneità col mostrarne la complessità e i limiti imposti dalle soluzioni  cosiddette pragmatiche che nascondono macrointeressi di parte e che poi portano a ‘vivere come porci’, a svuotare le teste di senso critico per manipolarle in base a tecniche di sorveglianza sempre più sofisticate a cui le stesse tecnologie comunicative vengono di proposito orientate.

E per porre un argine ai tentativi di plasmare in base alle logiche del mercato quello che, sulla scia del sociologo e astronomo belga Lambert A. Quételet,  chiama ‘uomo medio’, che poi è l’hobbesiano ’uomo ordinario’, ancora una volta, come spesso succede in Francia, ritorna anche nelle pagine di Châtelet il richiamo a volte ad Antonio Gramsci e alla sua idea di intelligenza collettiva base della ‘coscienza critica diffusa’, ma coniugato fortemente coi valori teleologici insiti nei processi di costruzione razionale delle verità tipici del pensiero fisico-matematico; su tale base, si pone la triade “Cultura-Lavoro-Politica”, paradigmi della libera ‘virtualità’ del soggetto e dal modo concreto con cui questi tre pilastri si potenziano a vicenda, si attua tale “grande Convergenza” per rendere il lavoro reale meno manipolabile dalla ‘Controriforma neoliberale’. In tale modo ci sarebbe una possibilità in più per fare in modo che il “cyber-bestiame ridiventasse un popolo, con i suoi canti ed i suoi formidabili appetiti, una membrana gigante che vibra”; e contro l’idea di Winston Churchill che “la democrazia è il peggiore dei sistemi, ad eccezione di tutti gli altri”, e che “si impone come male minore”, per Châtelet bisogna fare in modo che essa non si riduca ad essere una “ottimizzazione dei possibili preesistenti ma sorge dalla scommessa, infinitamente più generosa e quindi infinitamente più rischiosa, di una eccellenza delle virtualità della moltitudine”.

Si richiedono, pertanto, “le decisioni più irreversibili” per permettere di  fare uscire “la Storia” dal semplice balbettio di idee del genere e organizzare su basi diverse la “Grande ameba” dell’umanità, dove non basta “ottimizzare i profitti ed i capricci del cyber-nomadi” per “amplificare e approfondire la democrazia” e renderla un patrimonio collettivo come frutto di diverse ‘virtualità’ convergenti; e per questo viene lanciato un appello alle diverse comunità, ed in primis a quella pensante in quanto “ci sarà da lavorare parecchio, poiché  dovremo averla vinta laddove a Hegel, a Marx e Nietzsche non è riuscito”.  Ci si può sentire in sintonia con questo ultimo invito da parte di un uomo che, da lì a poco, avrebbe scelto il suicidio e anche se, come dice Morin, Thanatos sembra avere avuto il sopravvento, dalle sue ancora calde e irruenti ceneri, emerge un filo di ‘virtualità’ tutte da esplorare e sta a noi raccoglierle come delle preziose briciole per poter disegnare un destino diverso.


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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.