Per la Clinton, c’è poco da stare “hilarious”. Per tutti gli altri, la speranza è che Trump sia meglio di quanto visto in campagna elettorale
Divertente. È questa la traduzione del termine inglese “hilarious” ed è ciò che ho pensato la mattina del 9 novembre, quando dopo essermi svegliato alle 7 ho appreso della vittoria del repubblicano Donald Trump alle presidenziali degli Stati Uniti. Divertente non perché io sia un sostenitore del neo-presidente, anzi. Bensì perché mi ero addormentato la sera prima con tutti i sondaggi e i media che davano in vantaggio la candidata democratica Hillary Clinton. E invece, proprio come capitato in occasione del referendum sulla Brexit dello scorso 23 giugno, qualcosa è andato storto.
Ma cosa? Perché Hillary Clinton ha perso le elezioni? Che cosa è sfuggito a sondaggisti e analisti di tutto il mondo?
Il voto anti-sistema e anti-alta finanza è andato in larga misura a Trump – il che può sembrare strano dato che il tycoon è un miliardario. Ok, ma la Clinton è rappresentante di una famiglia che è al potere politico negli USA dal 1978, anno in cui Bill Clinton fu eletto governatore dell’Arkansas. Sono passati 38 anni da allora. “Ancora un Clinton al potere?” avranno pensato gli americani.
E poi. Durante la campagna elettorale i democratici hanno commesso degli errori. In primis, la Clinton ha insistito troppo sul fatto che bisognasse votare lei per evitare l’elezione di Trump. Inoltre non ha saputo valorizzare il fatto che sarebbe stata il primo presidente donna; una scelta che probabilmente le è costata cara, dato che l’elettorato femminile bianco non laureato ha preferito il newyorkese a lei. Ma attenzione: anche il 45% delle donne bianche laureate ha comunque espresso la propria preferenza per Trump, nonostante le posizioni sessiste manifestate da quest’ultimo nei mesi precedenti.
Il passato politico della Clinton ha anche senz’altro inciso sull’esito finale. Senatrice per lo Stato di New York dal 2001 al 2009, Segretario di Stato dal 2009 al 2013, la Clinton ha appoggiato tutti i conflitti – poi diventati impopolari – che gli Stati Uniti hanno intrapreso in quegli anni, e con la sua vittoria i rapporti con la Russia sarebbero peggiorati. Pare inoltre che abbia esercitato molta influenza sul presidente Barack Obama per convincerlo a sostenere i ribelli in Siria e a bombardare la Libia. È stata quindi percepita dall’elettorato americano come una guerrafondaia cinica e spregiudicata. Il fallimento di questi due Stati ha rafforzato il terrorismo internazionale di ISIS e Al-Qaeda. Il ruolo della Clinton in questi processi è stato analizzato in due interessanti articoli, uno di Jeffrey Sachs pubblicato dall’Huffington Post, il 14 febbraio di quest’anno, l’altro opera di Jo Becker e Scott Shane e uscito sul New York Times il 27 febbraio scorso. Alla luce di ciò, quanto sarà risultata credibile agli occhi dei cittadini la Clinton che, dopo le stragi di San Bernardino e Orlando, ha parlato della sua ricetta per combattere il terrore islamista?
Soprattutto, la Clinton non è stata in grado di parlare alla pancia degli elettori. È stata poco carismatica e probabilmente troppo fredda durante i convegni. Ha convinto le minoranze meno di Obama e, ancor di più, non è riuscita a ottenere consensi in una parte di America dimenticata: quella bianca, cristiana, un po’ xenofoba, con un livello di istruzione non altissimo e, in particolare, quella operaia. In queste fasce della nazione Trump ha stravinto, perché ha saputo riaccendere le speranze delle classi lavoratrici penalizzate da globalizzazione e delocalizzazione. Il repubblicano ha conquistato gli Stati industriali della Pennsylvania, dell’Ohio e del Michigan, che gli hanno assicurato in totale un bottino di ben 56 grandi elettori. Bisogna tornare al 1988, quando vinse George Bush padre, per ritrovare un conservatore che si impone contemporaneamente in tutte e tre queste aree. Probabilmente – ma a posteriori è semplice dire qualsiasi cosa – in queste regioni chiave avrebbe avuto la meglio Sanders, fatto però fuori dagli stessi democratici durante le primarie. Forse la Clinton ha pagato anche un’idea di politica sulle armi restrittiva, mentre il tycoon ha avuto l’appoggio della National Rifle Association, l’organizzazione no profit che parteggia per il diritto dei cittadini alle armi da fuoco.
Ormai il dado è tratto: Donald Trump è il 45opresidente degli Stati Uniti. Farà davvero tutto ciò che ha promesso in campagna elettorale? È da vedere. Trump nasce zoppo, in quanto molti del suo partito lo hanno avversato e perché la maggioranza repubblicana si è ristretta di 2 seggi al Senato e di 7 alla Camera. Nessuno può prevedere il futuro, ma è se non altro probabile che Trump per rimanere in piedi sia costretto a scendere a compromessi con i suoi e a moderarsi su alcuni punti chiave (ed estremi) del suo programma, come la costruzione del muro al confine con il Messico e il bando all’ingresso dei musulmani negli States.
Se nessuno può sapere cosa succederà domani, una domanda è d’obbligo: Trump potrà essere un buon presidente nonostante le numerose polemiche che lo hanno riguardato nei mesi che hanno preceduto la sua elezione?