Visto da lontano, un fatto, un episodio, potrebbe non essere recepito com’è realmente dall’opinione pubblica. Siamo sempre più inondati da articoli di pura opinione e sempre meno da cronaca pura, racconto dei fatti, dei dettagli, alla ricerca della verità.

I fatti sono successi negli ultimi giorni in Sicilia, più precisamente tra Palermo, Partinico e Borgetto, due piccoli centri che si affacciano sulla valle dello Jato, divenuti famosi per due motivi: l’arresto di 9 capi mafia a Borgetto e l’allontanamento, nella stessa ordinanza, dalle province di Palermo e Trapani del giornalista Pino Maniàci, fondatore dell’emittente Tele Jato e famoso in tutta Italia per le sue lotte alla Mafia locale e le sue inchieste scottanti su Politici, imprenditori e, appunto, mafiosi.
Chi vi scrive, parla da una posizione privilegiata: da lunedì 2 maggio, lavoro in redazione a Tele Jato – piccola emittente locale che copre circa 15 comuni del palermitano, divenuta negli anni famosa per le sue inchieste e il linguaggio usato contro la mafia e i “potenti” del posto – per la messa in onda del telegiornale. Un’edizione al giorno, che dura mediamente due ore, in cui si affrontano la cronaca locale, che spesso significa mafia, la politica, che diventa corruzione, e molto molto altro.
Tornando alla notte degli arresti, parliamo di capi di accusa importanti: si tratta dei capi mandamento di cosa nostra nella zona di Borgetto e Partinico (le famiglie Salto e Giambrone); un’operazione partita nel 2012 e arrivata alla sua conclusione solo la settimana scorsa.
E in tutto questo, cosa c’entra Maniàci? Il giornalista è accusato di aver estorto soldi ai sindaci di Partinico e Borgetto, in cambio di editoriali più morbidi e accondiscendenti nei confronti dei primi cittadini.
È successo? Lo stabiliranno le sedi competenti.

In tutta questa storia, però, emergono tre fatti che fanno pensare:

  1. Le dichiarazioni del Sostituto Procuratore di Palermo Teresi, coordinatore delle indagini: “Non ci serve l’antimafia del signor Pino Maniàci, noi facciamo antimafia ogni giorno”. Sia consentito non essere pienamente d’accordo. Cosa si vorrebbe dire? Forse che i cittadini non devono interessarsi, magari perché hanno i loro vizi, alla difesa della cosa pubblica? Che le procure e i corpi di polizia e carabinieri lavorano benissimo da soli e non commettono errori? Se ci fermiamo un attimo a riflettere, il primo caso che mi viene in mente è quello di Peppino Impastato, accusato e presto liquidato come “ultrà di sinistra” (dalla stampa dell’epoca) cui era andato male un attentato dinamitardo ai binari della ferrovia. È la storia stessa a insegnarci che tutti, anche in buonafede, possono sbagliarsi. Solo che qui, in Sicilia, il margine di errore è minimo, quando si trattano certi argomenti.

Senza titolo

  1. I sindaci che sarebbero stati sotto ricatto, ad oggi, non hanno ancora fornito spiegazioni sufficienti all’opinione pubblica. E la stampa, locale e nazionale (esclusi alcuni blogger), non ha fatto obiezioni: non ci sono evidenze di denunce di tentativi di estorsione, non ci sono evidenze se non uno stralcio del video fornito dai Carabinieri in cui il sindaco di Borgetto versa contanti per 366€ a Maniàci (per la difesa il pagamento di una fattura di 300€ più iva per una pubblicità della moglie su TeleJato). Soprattutto i due sindaci non hanno spiegato il perché un giornalista dovrebbe essere “morbido” con loro. La legge li tutela con i reati di calunnia e diffamazione e il giornalista è obbligato a documentare i fatti che espone per non incorrere in questi reati. In conclusione, vien da chiedersi cosa avevano da nascondere per accomodare un giornalista.
  1. La stampa nazionale e le televisioni hanno inoltrato su tutti i social network e riempito i titoli dei tg solo la notizia dell’allontanamento di Maniàci. Nove componenti di due famiglie tra le più pericolose e potenti in quest’angolo di Italia, non sono importanti, perdono clamorosamente di significato. Non si è capito, ancora, perché un giornalista (non accusato per mafia – 416 bis) sia finito nella stessa ordinanza e operazione dei mafiosi che denunciava. Non è chiaro perché, negli editoriali sulla carta stampata e negli approfondimenti in tv si sia massacrata l’immagine di un uomo, che si è eretto o – come sostiene lui – è stato eretto a paladino dell’antimafia.
    Tutto questo per i suoi vizi, le sue debolezze senza nessuna presa d’atto delle battaglie che l’han portato a stare o ad esser messo su quel piedistallo.

Alla luce di tutto questo, è giusta la gogna mediatica a cui è stato sottoposto Maniàci? “Assalto alla notizia” è il titolo di un film di qualche anno fa, in cui Dustin Hoffman è un giornalista relegato alle cronache di provincia, inviato a fare un servizio su un misero museo. Accade che l’ex custode, licenziato il giorno prima, prenda goffamente in ostaggio una scolaresca per protesta e il giornalista, nel posto giusto al momento giusto, lo fomenti nella speranza di fare il servizio della vita sul “mostro che prende in ostaggio la scolaresca” e cambiare la sua carriera. È davvero questa l’informazione che vogliamo? Abbiamo bisogno di mostri?