Ci vuole fortuna a nascere. Ci vuole fortuna a morire. Peppino Impastato è nato da un padre mafioso. E l’hanno ammazzato lo stesso giorno in cui veniva ritrovato cadavere Aldo Moro.

Cinisi, 5 gennaio 1948: nasce Giuseppe Impastato, da tutti conosciuto come Peppino. Suo padre, Luigi Impastato, è un mafioso. Sua madre, Felicia Bartolotta, lo sa, ma ne accetta la realtà. Tra l’altro, a sposare la sorella del padre Luigi è il locale capomafia Cesare Manzella, zio di Peppino.

Peppino di fare il mafioso non ne vuol sapere. Si iscrive al Liceo Classico della vicina Partinico e milita nel Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Con alcuni coetanei fonda anche un giornale, “L’Idea socialista”, destinato ad essere ben presto sequestrato.

Ma il giornalismo, l’animazione della cultura, la militanza Peppino se li porta dentro e nel 1975 fonda il Circolo “Musica e Cultura”, una sorta di oasi della cittadinanza attiva che si impone immediatamente come il punto di riferimento dei giovani di Cinisi, quelli che, proprio come Peppino, non si arrendono all’idea di dover “baciare le mani”.

Gemmazioni di “Musica e cultura” saranno il “Collettivo Femminista” e il “Collettivo Antinucleare” e, nel 1977, “Radio Aut”, un’emittente che fa della controinformazione la sua bandiera e della satira ai danni di politici e boss locali il suo strumento.

È il 1978 e Peppino Impastato decide di partecipare alle Comunali di Cinisi con una lista di Democrazia Proletaria. Non farà in tempo. Verrà fatto saltare in aria, il 9 maggio, qualche giorno prima delle votazioni, il suo corpo dilaniato dal tritolo, sui binari della locale linea ferroviaria. Sulle prime, proveranno a far credere che si è voluto suicidare in maniera eclatante o che è saltato in aria mentre metteva a punto un attentato terroristico. In realtà, la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, ciò che probabilmente decretò la sua condanna a morte, fu l’aver documentato, attraverso una accurata mostra fotografica, gli abusi edilizi da parte dei potentati mafiosi che saccheggiavano e violentavano il territorio di Cinisi.

Ci sono voluti più di vent’anni di processi, rinvii di giudizio e giustizia non fatta, prima che almeno la verità giudiziaria avesse termine. Due i condannati all’ergastolo per il barbaro omicidio di Peppino Impastato: Vito Palazzolo, condannato in Corte d’Assise il 5 marzo 2001, e Gaetano Badalamenti, condannato più di un anno dopo, l’11 aprile 2002.

Felicia Bartolotta, la madre di Peppino, la vera protagonista assoluta della battaglia giudiziaria per fa luce sulla morte del figlio, è venuta a mancare il 7 dicembre 2004. Lei è stata in questo più fortunata di Peppino. Lei è vissuta abbastanza per vedere ciò che il figlio non ha visto.

E che tanti continuano a non vedere. Perché Peppino Impastato ha scelto un giorno infelice persino per farsi ammazzare: il 9 maggio 1978 veniva, infatti, ritrovato il cadavere di Aldo Moro, in una Renault rossa, in via Caeatani, a Roma. Quel giorno, come era ovvio prevedere, la notorietà del grande statista e la tragicità della sua morte fagocitarono l’attenzione dei media. Peppino e la sua tragedia finirono in seconda pagina. Cosa che si è ripetuta negli anni a seguire, di anniversario in anniversario, con sempre meno spazio, sempre meno attenzione alla morte di un giovane assetato di giustizia.

Ci vuole fortuna a nascere e fortuna anche a morire. Peppino non è stato fortunato. Non gli resta che la nostra memoria.

Appartiene al tuo sorriso
l’ansia dell’uomo che muore,
al suo sguardo confuso
chiede un po’ d’attenzione,
alle sue labbra di rosso corallo
un ingenuo abbandono,
vuol sentire sul petto
il suo respiro affannoso:
è un uomo che muore.

(Peppino Impastato)