I cittadini non hanno l’urgenza di votare “alla tedesca” o “all’inglese”, non hanno la preoccupazione della soglia e dei collegi, dei listini e delle lotte interne ai partiti. E forse non hanno neanche l’urgenza di votare. Le loro urgenze sono altre: lavoro, giovani, scuola, sanità, giustizia, sicurezza…
Caro Direttore,
mi chiedi che opinione mi son fatta sulla legge elettorale erigenda e sul trambusto che ne è seguito, con effetti a lunga scadenza. Ti rispondo che non ho un’opinione sul trambusto, che è tutto strumentale alla campagna elettorale. Un’idea ce l’avrei: condivido quello che stamani, sabato, Giuliano Ferrara scrive sul Foglio: a votare vanno gli elettori, non le leggi elettorali. Sono convinto che i tecnicismi non possano sostituire le idee, in politica. Proporzionale, maggioritario, liste bloccate, preferenze, soglie di sbarramento sono tutti modi e tutti legittimi di darsi regole, se il Parlamento li sceglie, ma i risultati non si possono predeterminare, quelli escono dalle urne.
Abbiamo sotto gli occhi l’esempio della Gran Bretagna, grande democrazia del maggioritario come regola condivisa e come tradizione antica. Bene. La May porta il suo popolo a uscire dall’Unione Europea, poi lo porta alle elezioni anticipate e perde la maggioranza in Parlamento. I laburisti, che sembravano squagliati dopo la trionfale stagione blairiana, rialzano la testa a tornano in gioco. Perché i cittadini guardano non alle regole per votare, ma alla moneta, al terrorismo, all’economia, all’integrazione, al welfare: cioè alle cosette che devono affrontare tutti i giorni per tirare avanti.
Per tornare a noi, valgono le stesse regole. L’incidente sulla legge elettorale creato dal cartello anti-Renzi è, appunto, un incidente. Nel quale, a questo giro, sono coinvolti anche i grillini, quelli dell’anti-casta, anti-establishment, quelli anti. Il vero problema rimane uno: vedere quanto gli interessi degli eletti coincidono con quelli degli elettori. Questi ultimi non hanno l’urgenza di votare “alla tedesca” o “all’inglese”, non hanno la preoccupazione della soglia e dei collegi, dei listini e delle lotte interne ai partiti. E forse non hanno neanche l’urgenza di votare. Le loro urgenze sono altre: lavoro, giovani, scuola, sanità, giustizia, sicurezza… Le maggioranze di governo sono e saranno giudicate su temi vitali, non su codicilli regolatori.
Io, personalmente, un’opinione “tecnica” ce l’avrei: un proporzionale corretto per evitare una frammentazione eccessiva. In Gran Bretagna, Paese complesso assai, i partiti sono quattro. L’Italia ha avuto governi stabili per più di quarant’anni, e il proporzionale puro dava vita a sette-otto gruppi parlamentari al massimo. Oggi i gruppi sono una ventina. Verrebbe da dire che neanche il proporzionale è come quello di una volta. Le ragioni sono lunghe da spiegare, forse la principale risiede negli egoismi sempre più diffusi che vanno dagli individui, ai gruppi, alle istituzioni, alle imprese, alle magistrature eccetera. Le regole elettorali c’entrano poco, cerotti su fratture che avrebbero bisogno di ben altre cure, specie nella deriva del nostro Sud.