Resistere è continuare a sognare di realizzare l’impossibile. Una breve chiacchierata con Rosario Esposito che, in memoria di un cugino ucciso dalla Camorra, nel quartiere Scampia ha creato una libreria, una squadra di rugby, un marchio di enogastronomia locale.

La morte di un cugino: morto ammazzato in un agguato mortale di Camorra.  Scampia: una prostituta utilizzata in fiction e comizi dai tanti carrieristi dell’antimafia, per poi essere abbandonata tra i tentacoli di scugnizzi senza onore. Come ha iniziato ad addomesticare la sua rabbia canalizzandola nell’amore per la giustizia sociale e la libertà?

Dopo la morte di Antonio eravamo molto arrabbiati; io ho canalizzato questa rabbia trasformandola in energia positiva soprattutto per riabilitare la figura di mio cugino che era visto come uno spacciatore di livello internazionale. Mi sono battuto, per più di dieci anni, affinché Antonio non venisse considerato tale. In questa lunga battaglia ho affilato le armi soprattutto conoscendo un sacco di gente positiva che ha rappresentato il mio rifugio e l’ impulso primordiale nel provare a realizzare l’impossibile.

Una libreria, una squadra di rugby e una fattoria sociale. La cultura della condivisione che squarcia la solitudine imperante lì dove sin da piccoli ci si abitua a bastare a se stessi. Quale, oggi, il suo rapporto con la paura e con la solitudine?

Il mio rapporto con la solitudine è pari a zero fortunatamente perché non mi sento solo nel mio nucleo familiare o nella mia comunità di Scampia, ma soprattutto in Italia dove abbiamo stretto rapporti straordinari con realtà simili alla nostra. Quindi fortunatamente sono una persona che non soffre di solitudine, però mi capita di avere paura perché quello che faccio è pur sempre una forma di contrasto ad attività illegali: tuttavia ogni volta che penso alla paura ripeto questa frase: Il coraggio è la paura trattenuta un secondo in più”. Noi non siamo contro nessuno, ma siamo un gruppo di ragazzi che non fa una guerra contro ma una battaglia per.

Lei incontra ogni giorno i volti dell’emarginazione, dell’ingiustizia e della vessazione. Le andrebbe di raccontare le peculiarità di qualche volto umano, incontrato tra quei freddi casermoni, che in qualche modo ha lasciato un’impronta indelebile in tutto ciò che successivamente ha realizzato e che oggi tanti guardano con stupore?

Sin da quando ho iniziato a scrivere il mio obiettivo era raccontare i penultimi, perché gli ultimi sono quelli che finiscono in carcere; quelli che muoiono e questa categoria di persone viene celebrata sia positivamente che negativamente. Invece quelli che sono su un limbo, che sono lì su un precipizio pronti a cadere purtroppo sono vittime innocenti collaterali: sono i figli e le mogli dei criminali, ma sono anche quelli che subiscono violenza quotidiana da parte della criminalità organizzata. Amo raccontare l’umanità di queste persone e le loro storie che non finiranno mai in prima pagina: questa la mia cifra stilistica e la mia voglia di raccontare: la bellezza dei volumi che scrivo è insita nel fatto che i miei personaggi li vedo camminare per strada e quindi assorbo i loro cambiamenti. Un libro come Al di là della neve, pubblicato nel 2007, oggi non potrebbe essere scritto nuovamente perché è tutto cambiato, i protagonisti hanno preso altre strade qualche volta positive altre negative.

Scampia: il luogo dove il reato più grande sembra proprio essere quello di sognare il cambiamento. Quali i suoi sogni nel cassetto? Quanto è importante, secondo Lei, il contagio insito in un sogno apparentemente irrealizzabile?

Noi abbiamo avuto sempre sogni irrealizzabili che poi non si sono rivelati tali. Nel senso che quando è morto Antonio avevamo il sogno di aprire una libreria e una casa editrice a Scampia, nel momento in cui ammazzavano sessanta persone in sei mesi: una persona ogni tre giorni. Però è anche vero che bisogna lottare; che i sogni impossibili non esistono; che il pensiero genera materia e che bisogna a tutti i costi unirsi per realizzare questi sogni. La “Scugnizzeria” oggi per me è un miracolo vedendo da dove sono partito: da guerre contro i criminali; da giocare a pallone nei luoghi dove si bucavano i tossici: è un sogno collettivo. Il miracolo è questo: tante persone si battono per la realizzazione di qualcosa che sembra impossibile e ognuno ci mette del suo. Il mio sogno nel cassetto è aprire un museo del libro a Scampia, dove portare tante scolaresche e far si che in questo quartiere non si compri più droga, come avveniva in passato, ma si venga ad imparare cultura.

Le regalo una scatola di colori: quale, tra questi,  la rappresenta maggiormente?

Questa è una bellissima domanda che non avevo mai ricevuto prima. Scelgo due colori: rosso pompeiano che è il colore che più amo e mi caratterizza: rosso è il colore del sangue e dell’amore. Poi scelgo, in quanto editore e quindi innamorato di colori un po’ strani, l’azzurro peculiare dell’uovo di pettirosso che è qualcosa di delicatissimo: detiene questo colore stupendo che è in contrasto con il piumaggio dell’animale e che credo rappresenti un po’ questo nostro covare cose preziose, ma che per gli altri hanno poco valore.


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Una famiglia dalle sane radici, una laurea in Giurisprudenza all’Università di Bologna, con una tesi su “Il fenomeno mafioso in Puglia”, l’esperienza di tutti i giorni che ti porta a misurarti con piccole e grandi criticità ... e allora ti vien quasi spontaneo prendere una penna (anzi: una tastiera) e buttare giù i tuoi pensieri. In realtà, non è solo questo: è bisogno di cultura. Perché la cultura abbatte gli stereotipi, stimola la curiosità, permettere di interagire con persone diverse: dal clochard al professionista, dallo studente all’anziano saggio. Vivendo nel capoluogo emiliano ho inevitabilmente mutato il mio modo di osservare il contesto sociale nel quale vivo; si potrebbe dire che ho “aperto gli occhi”. L’occhio è fondamentale: osserva, dà la stura alla riflessione e questa laddove all’azione. “Occhio!!!” è semplicemente il titolo della rubrica che mi appresto a curare, affidandomi al benevolo, spero, giudizio dei lettori. Cercherò di raccontare le sensazioni che provo ogni qualvolta incontro, nella mia città, occhi felici o delusi, occhi pieni di speranza o meno, occhi che donano o ricevono aiuto; occhi di chi applica quotidianamente le regole e di chi si limita semplicemente a parlare delle stesse; occhi di chi si sporca le mani e di chi invece osserva da una comoda poltrona. Un Occhio libero che osserva senza filtri e pregiudizi…