Il Festival della Disperazione ha fatto tappa a Milano e Torino, all’interno, rispettivamente, dell’evento “Fa’ la cosa giusta!” e del progetto “Luci sui Festival” al Salone Internazionale del Libro, confronto sui temi del contemporaneo attraverso autori e pensatori di rilievo nazionale. Anche in territorio andriese, il Festival ha certamente contribuito a tracciare un piccolo solco in materia culturale con il suo sguardo laterale e ironico. Milano e Torino rappresentano un passettino in avanti in ottica di crescita e di diffusione del verbo della Disperazione.

A parlarcene è uno degli organizzatori, Gigi Brandonisio.

Ciao, Gigi. Cosa significa esportare il Festival della Disperazione dalla Puglia a Milano e Torino?

Per il Festival della Disperazione è sicuramente un traguardo importante. Per un Festival nato dal basso, dal desiderio di avere sul territorio un vero Festival letterario, arrivare ad avere la possibilità di essere conosciuto in piazze importanti come quelle di Milano e Torino è certamente motivo di orgoglio. Il Festival, nonostante le difficoltà perenni, è cresciuto molto nelle sette edizioni all’attivo ed è arrivato lontano. Gli appuntamenti di Milano e Torino certificano la bontà dell’operazione e il valore, ormai consolidato del Festival. Per noi che lo organizziamo significa anche poter portare un pezzo della nostra città, Andria, lontano e di questo ne siamo particolarmente contenti. Nonostante ciò rimane l’amarezza di essere completamente ignorati dal Comune di Andria con cui pare impossibile avere un’interlocuzione seria in materia culturale e che mai in questi lunghi anni ha mosso un solo dito per cercare di sostenere anche indirettamente il Festival. Ma fa parte del gioco e, d’altra parte, se tutto filasse liscio, non sarebbe un vero Festival della Disperazione.

In ogni caso è un Festival che, sostenuto o no, ha portato in città un’occasione di riflessione e confronto sui temi del contemporaneo attraverso autori e pensatori di rilievo nazionale e certamente ha contribuito a tracciare un piccolo solco in materia culturale con il suo sguardo laterale e ironico. Milano e Torino rappresentano un passettino in avanti in ottica di crescita e di diffusione del verbo della Disperazione.

Come si è inserito il Festival all’interno dell’evento “Fa’ la cosa giusta!” e in che modo si può “rendere visibile l’essenziale”, superando la parte sommersa dell’iceberg e di tutte le cose,
allontanando paura e staticità?

Il Festival della Disperazione è stato chiamato da Terre di Mezzo Editore, che da vent’anni organizza Fa’ la cosa giusta, per immaginare un mini programma del Festival all’interno del programma culturale della fiera. Il tentativo è stato come sempre di offrire una visione diversa, laterale, ironica ai temi principali della Fiera, tutti legati alla sostenibilità. Attraverso ospiti come Giuseppe Civati, Francesca Coin e Saverio Raimondo abbiamo provato a indagare  le relazioni che ci legano al passato e al futuro, il legame che intreccia la nostra esperienza di vita con i luoghi in cui abitiamo. Ciò che si nasconde sotto il pelo dell’acqua e che abbiamo bisogno di interiorizzare per scuoterci dall’immobilismo e agire. Tre incontri in un format leggermente diverso e adattato alle esigenze del momento che hanno permesso al Festival di incontrare un pubblico nuovo, diverso e interessato.

Quale ruolo ha, invece, assunto il Festival nell’ambito del progetto “Luci sui Festival” al Salone Internazionale del Libro di Torino?

Il Festival della Disperazione è stato selezionato dal Salone del Libro di Torino nel progetto Luci sui Festival che ha l’obiettivo di mettere in connessione e dare visibilità a manifestazioni ed eventi culturali che ogni anno su tutto il nostro territorio danno vita a momenti in cui lettori e lettrici, autori e autrici hanno la possibilità di ritrovarsi e di arricchirsi. Anche in questo caso il Festival avrà la possibilità di confrontarsi, per il secondo anno consecutivo, con la realtà più importante del mondo del libro. Anche il rapporto con Il Salone del Libro di Torino costituisce una grande opportunità di crescita e di sviluppo per un Festival che fa della propria identità una grande possibilità.

Programmi futuri legati al luogo in cui il Festival è nato?

Continuare a realizzare il Festival della Disperazione ad Andria, città amata e assai disperata, è l’obiettivo che ogni anno ci poniamo. Ogni anno ricominciamo da zero. Fino a quando sarà possibile farlo e organizzarlo garantendo certi standard qualitativi lo faremo. In caso contrario proveremo a trovare nuove vie per la Disperazione.


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Iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Puglia, ho iniziato a raccontare avventure che abbattono le barriere della disabilità, muri che ci allontanano gli uni dagli altri, impedendoci di migrare verso un sogno profumato di accoglienza e umanità. Da Occidente ad Oriente, da Orban a Trump, prosa e poesia si uniscono in un messaggio di pace e, soprattutto, d'amore, quello che mi lega ai miei "25 lettori", alla mia famiglia, alla voglia di sentirmi libero pensatore in un mondo che non abbiamo scelto ma che tutti abbiamo il dovere di migliorare.

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