Molto spesso il concetto di follia viene associato a quello di arte. Disagi familiari, problemi, dipendenze. Ecco, Francis Bacon era tutto questo, elevato all’ennesima potenza. Già, perché lui odiava i penosi anticonformisti, coloro che ricercano affannosamente l’inutile originalità. Per Bacon essere fragili e comuni era la cosa più ovvia del mondo e celarsi dietro il talentuoso dito della pittura risultava incredibilmente scontato e pateticamente banale. Francis era un uomo nato al momento sbagliato nel posto sbagliato, in un’Irlanda che, pur conquistando l’indipendenza dall’Inghilterra nei primi del ‘900, era socialmente puritana e perbenista, assolutamente contraria a sacrali deviazioni come l’omosessualità di cui Bacon non ha mai fatto mistero.

Chiunque si imbatta per la prima volta nelle opere di Bacon riceve un pugno nello stomaco, tende ad allontanarsi dalla violenza del soggetto, inconsciamente rifugge la realtà a cui sente di appartenere ma, al tempo stesso, subisce il fascino dell’orrido. Volti deformi, corpi mutilati e viscere in piena mostra simboleggiano il viaggio che ciascuno di noi affronta attraverso una tecnica aggressiva, fatta di colori netti ma sfuocati. Bacon rende i sentimenti immortali. Ciò che provoca ribrezzo, repulsione e disgusto non viene in alcun modo represso, anzi viene fissato nei poco convenzionali giochi di luci, ombre ed acrilici.

Un borderline dell’arte, un genio che, pur di vivere secondo la sua natura, ha trasformato la ribellione in qualcos’altro che non fosse la negazione del proprio io. Non avendo una cultura accademica, Bacon scorge il suo decisivo motore d’ispirazione nei quadri di Pablo Picasso, il cui stile riaffiora anche nel temperamento spontaneo dell’irlandese. Specchio delle sue tormentate tele è sicuramente l’ordine caotico in cui pennelli e barattoli sono sparsi nel suo studio, oggetti alla rinfusa che rappresentano la confusa e molteplice successione degli eventi vissuti.

Secondo Bacon, essere umano e corporeità sono la medesima dimostrazione di un’incessante caducità che porta alla morte. “Siamo tutti potenziali carcasse’’ amava ripetere, ossessionato da immagini di bambini affetti da gravissime patologie fisiche. Ateo, il divino non è affatto menzionato nelle sue opere intrise, però, di catartiche possibilità di rinascita e sollievo morale.

È questa, in fondo, la ragione per cui diventa difficile collocare Bacon nella corrente surrealista. Egli offre una semantica più esistenziale rispetto a tale pensiero, inserendosi di prepotenza nella fessura che divide l’espressionismo dall’astrattismo, spazio dove risalta la sfera emotiva e aleggia la libertà di rompere schemi precostituiti.