Il mito è raccontato da Ovidio nelle sue Eroidi, ma la sua più ricca narrazione, in esametri, è opera di Museo Grammatico, vissuto nel V o nel VI secolo dopo Cristo.

Leandro ed Ero erano due giovani innamorati divisi dallo Stretto dell’Ellesponto. Leandro viveva ad Abido, sulla costa europea dello Stretto, mentre Ero, sacerdotessa di Afrodite, viveva sulla costa asiatica, a Sesto.

Proprio qui, in una festa in onore della dea, Leandro aveva visto per la prima volta Ero: fu amore a prima vista “poiché – come scrive Museo – piú di una saetta la bellezza encomiabile di una donna perfetta trafigge i mortali”.

Per raggiungere l’amata, Leandro doveva, ogni sera, attraversare a nuoto le acque che li separavano, guidato dal fuoco della sua passione e da quello di una lampada che Ero teneva accesa perché egli non si perdesse nel buio della notte.

Ma una sera si levò una tempesta con un vento impetuoso che spense la lampada. Leandro si tuffò ugualmente, ma, nell’oscurità, perse l’orientamento e i flutti furono più forti delle sue forze e della sua passione: annegò tra i primi, accecato dalla seconda. Se, infatti, la passione non l’avesse accecato, Leandro avrebbe capito che non era la sera adatta per sfidare il mare in burrasca.

Fatto sta che, al mattino, Ero scorso il cadavere del suo amato sospinto sulla spiaggia dalle onde, lugubre anticipazione di ben altri annegati che il Mediterraneo continua a restituire  gli ultimi tre giorni fa nei pressi di Lesbo  dopo che hanno osato sfidarlo sui gommoni della disperazione.

Ero non resistette alla visione del corpo senza vita di Leandro e, a sua volta resa cieca dalla sua passione, si lanciò nel vuoto dall’alto di una torre, suicidandosi.

Eros e tànatos, amore e morte: un connubio che sconvolse a lungo la coscienza dei Greci antichi, ma che ha appassionato generazioni su generazioni e tocca ancora oggi le corde di noi moderni

La triste vicenda di Leandro ed Ero ha ispirato poeti e musicisti: dal grande Dante, che riprende il mito nel XXVIII Canto del Purgatorio, a Christopher Marlowe, che ha composto il poemetto “Hero and Leander”, a Franz Liszt, autore della ballata n.2 per pianoforte.

Gli esempi si potrebbero moltiplicare, ma celebre rimane, tra tutte, l’impresa di Lord Byron, il grande poeta romantico, che volle misurare su se stesso l’impresa di Leandro, attraversando di persona, a nuoto, l’Ellesponto. A quanto pare, a lui andò meglio di quanto non fosse capitato allo sfortunato Leandro, ma chissà quanti altri amanti sono annegati tra i gorghi delle burrasche d’amore.

D’altronde, il grande Van Gogh diceva: “Preferisco morire di passione che di noia”; e, prima di lui, Stendhal ci aveva ammonito: “La passione non è cieca, è visionaria“.