Il realismo inquieto

A volte le letture, col dovuto approfondimento e confronto critico, di testi di figure appartenenti ad altre ambiti, che ad una prima superficiale disamina possono apparire distanti, suggeriscono dei nuovi punti di vista e conducono spesso a dei risultati che a fatica poi si sarebbero potuto ottenere; e questo è possibile in quanto al loro interno, sia pure spesso in modo implicito e tra le diverse pieghe, contengono delle ottiche imperniate su una non comune connected wiew, che se colta può rivelarsi feconda nel campo in cui ci si trova ad operare in quanto educa il pensiero in primis a superare quella ‘schisi innaturale’ tra saperi, per usare un’espressione di Primo Levi. I relativi percorsi messi in atto, per la diverse tensioni che inevitabilmente li caratterizzano, si tramutano in dei modi per tracciare una via della complessità sino a darle un particolare volto epistemico-esistenziale da realismo inquieto; percorrerla è, infatti, sempre un rischio col suo carico di incertezze ma anche di possibilità, ma si rivela essere il frutto da un lato di una presa d’atto di cogenti problemi reali e dall’altro delle inquietudini derivanti dal fatto di trovarsi in condizioni difficili per darne una soluzione adeguata pur ritenuta impellente.  D’altronde, tale realismo inquieto lo si può ricavare dalla lettura   dei sostenitori, vecchi e nuovi, del pensiero cosiddetto utopico e nello stesso tempo fa quasi da guida per tutti coloro che, oltre a proporre dei necessari cambiamenti strutturali, si impegnano concretamente nel realizzarli, pur in evidenti situazioni avverse, da sembrare dei novelli Don Chisciotte nell’intraprendere battaglie che sembrano già perse.

Interrogando alcune loro idee portanti col darvi il dovuto riconoscimento cognitivo-esistenziale, non è dunque un caso se alcuni, come Carlo Petrini abbeveratosi a tale fonte come al pensiero complesso di Edgar Morin nel prendere in prestito lo strategico concetto di ‘Terra Madre’, siano arrivati ad affermare che ‘chi semina utopia raccoglie realtà’. E non è, dunque, ancora un fatto fortuito se tale espressione sia diventata in questi ultimi anni la scelta strategica  di una iniziativa messa in atto, ad esempio, dall’artista pugliese Luigi Coppola in terra d’Otranto colpita dalla xylella; tale figura è impegnata, infatti, in una non comune opera di sviluppo rurale del territorio col recupero di terreni incolti dentro un progetto di economia sostenibile teso a ‘salvare un po’ di Natura per il futuro’, per usare il sottotitolo del recente volume di Alessandro Contucci, Le arche della biodiversità (Milano, Hoepli 2024). Un approccio del genere, col suo iniziale e intrinseco portato di utopia, si sta realizzando in quanto dettato da una forte coscienza ecologica e animato da un’altra non meno importante idea di  Morin, quella di ‘comunità di destino’; lo si può considerare frutto di un realismo inquieto per le diverse poste in gioco che coinvolgono i diretti protagonisti tra speranze e illusioni, come altri tentativi del genere presenti in diversi settori, da essere dei collassonauti,  orientati a costruire le basi di un altro mondo senza cadere in posizioni collassologiche (Come essere collassonauti, 6 aprile 2023).

Tutti questi percorsi mirano a raddrizzare  alcuni esiti dell’Antropocene con i relativi e probabili collassi che possono rivelarsi problematici per l’intera vita sul pianeta, dovuti al fatto di aver misconosciuto la complessità dei problemi; essi furono già individuati come tali negli anni ‘20 dal geochimico russo  Vladimir I. Vernadskij nel porsi come uno scienziato di frontiera e senza nessuna esitazione  ‘sull’orlo dell’inconoscibile’, per usare un’altra espressione di Primo Levi, ma solo spinto dalla necessità e dalla ‘brama’ di ‘porre continue domande alla natura’, sentite come una vera e propria esigenza ‘etica’, esigenza presente in varie lettere e scritti, alcuni dei quali confluiti in Dalla biosfera alla noosfera. Pensieri filosofici di un naturalista, con introduzione di Silvano Tagliagambe (Milano-Udine, Mimesis 2022). Tale atteggiamento, insieme epistemico-esistenziale, oggi viene coltivato da più parti e sta imponendo la necessità di portare l’Antropocene su nuovi binari a partire dalla ‘riforma del pensiero’ nel senso di Morin; ad esso è assegnato come compito primario quello di progettare ‘un nuovo modo di pensare il futuro’ nel creare le basi dove ‘il reale ed il possibile non sono dati immutabili, ma come costruzioni mai definitive e dipendenti dalle nostre scelte’, come scrissero pioneristicamente negli anni ‘80 Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti in La sfida della complessità.

Chi abbraccia la complessità e ne vive le diverse tensioni tra il reale ed il possibile, senza vederli in contrapposizione, non può non fare i conti con questo strutturale volto da realismo inquieto che poi viene ad investire e ad attraversare le scelte di fondo da compiere; e nello sforzo per mantenere vivi i valori esistenziali che le nutrono ed arricchire il  già cospicuo corredo concettuale di chi vive nel fare della complessità un ‘luogo dell’intelletto’,  può essere utile prendere coscienza del fatto  che nelle azioni concrete ‘chi semina complessità raccoglie realtà’. In tal modo, chiunque munito di tale strategia rivede sotto altra luce, come dopo un’operazione di cataratta, ciò che lo circonda sino a permettere di ergersi come un nuovo ‘Adamo sulle sponde del Rubicone’, per  prendere in prestito alcune fondamentali idee di Kant   quando si interrogava sulle  reali possibilità della ragione umana nel prendere atto dei diversi percorsi conoscitivi insieme al loro nuovo carico di responsabilità;  e quando si è su tale sponda, si è inquieti in modo strutturale, e inevitabilmente si oscilla su un terreno che può rivelarsi fragile, per aver lasciato alle spalle qualcosa ritenuto certo, per intraprendere una nuova strada tutta in salita da costruire, ma foriera di altri orizzonti col loro pieno di ulteriori traguardi.

E nel seminare complessità, si raccolgono diversi frutti, più reali che, per parafrasare Gaston Bachelard alle prese negli anni ’30 con quella che chiamava nel prime pagine della sua opera più nota Le nouvel esprit scientifique ‘la  complessità essenziale’ del pensiero fisico-matematico emergente nella meccanica quantistica con l’invitare a mettersi alla scola quantorum, si possono chiamare reali ‘istruiti’ che hanno reso definitivamente ed in modo costitutivo inquieta e mobile, ouverte e souple  la stessa ragione alle prese con  la ricchezza di inedite articolazioni del mondo scientifico; per usare sempre sue parole, essi sono frutto dei continui ‘progetti’ scaturiti dal lungo confronto critico del ‘soggetto’, kantianamente avvertito dei suoi limiti e insieme delle intrinseche nuove possibilità, con ‘l’oggetto’ e nel tempo si fanno carico ‘istruendosi’, a dirla con Leonardo Da Vinci, delle ‘infinite ragioni’ del reale col potenziare così il tessuto etico-conoscitivo di base, necessario per aprire nuovi varchi nei diversi contesti. In tal modo si hanno a disposizione dei ‘reali istruiti’ come risultato del lavorio di una ragione più matura e soprattutto  in grado di cogliere il volto qualitativo delle nuances, a dirla con lo stesso Bachelard, del reale; alla luce di tali strumenti  acquistano più senso  quelle che Simone Weil ha chiamato in seguito sue ‘rugosità’, spesso  rimosse in nome di una presunta ‘ragione paradisiaca’, come quella cartesiana nata  anche per mettere un po’ di ordine nel caos generato in seguito ad eventi storico-politici nel senso descrittoci da Stephen Toulmin (Rileggere la nostra storia col dono agapico della complessità,  28 marzo 2024).

Tra i ‘reali istruiti’ da prendere in debita considerazione per i diversi enjeux  che mette in moto nel senso avanzato da Gilles Châtelet (Gilles Châtelet: le virtualità di una vita, 25 novembre 2021) e con la coscienza critica che sia un primo e vero e proprio dono razionale faticosamente conquistato col suo non comune portato di realismo inquieto, vi è quella di emergenza e meglio di proprietà emergenti di un fenomeno; tale categoria, definita da alcuni la più radicale consegnataci dal  sano pensiero scientifico del ‘900,  pur scaturendo dall’insieme di più proprietà non è riconducibile a nessuno degli elementi costituenti un determinato fenomeno da rendere imprevedibile qualsiasi percorso messo in atto e da costringere a vivere come degli alianti (La complessità come un aliante, 2 febbraio 2023). Ma ‘chi semina complessità’, nel vivere tensioni e inquietudini di diverso genere, educa la mente in modo strutturale a fare i conti con l’incertezza e l’imprevedibilità, non si abbatte di fronte alle inevitabili difficoltà, si abitua sia sul terreno cognitivo che esistenziale a convivere coll’unità nella molteplicità, coniuga nelle varie pieghe il locale col globale; e se agisce nel locale non può non pensare al globale nel cogliere così le istanze di una realtà che va ben al di là della somma delle parti che la costituiscono. Nello stesso tempo, un reale così istruito, e soggetto pertanto a continui cambiamenti strutturali, è pur sempre un ‘reale condizionato’ da vincoli, per usare un’espressione del neurobiologo Gerald Edelman, come ad esempio la nostra mente strutturalmente delimitata dai diversi fattori che la compongono, ma  comunque in grado di autoelevarsi e di trascendersi rompendo così gli schemi sintattici che ne formano la rigida grammatica con l’entrare nel regno dei significati.

‘Chi semina complessità’, raccoglie  più realtà ed insieme speranza, inculca più responsabilità e come primo passo indispensabile che compie è quello di rendere gli ‘ismi’, dovunque si annidano, un cimitero, o quanto meno di ridimensionarne la portata senza creare quei vuoti di pensiero che si creano quando ci si mette in una zona di frontiera dove non albeggiano ancora dei segnali che indicano una strada da percorrere; e questa vera e propria nuova paideia o ‘sfida della paideia’, come la chiama Mauro Ceruti, che instaura intorno a sé, si  colora inevitabilmente di realismo inquieto  per i diversi e a volte dolorosi decentramenti che impone. Ma, nello stesso tempo, tale realismo inquieto si mostra con un volto agapico che fa intravedere una serie di intrecci, interconnessioni, di legami che, se colti per quello che realmente sono, ci immettono in una ’stretta relazione cosmo-antropologica non separabile dalla natura’, oltre spronarci alla ‘ricerca di un nostro rapporto coevolutivo con tutti gli attori del mondo’.

E tra gli altri doni del seminatore di complessità, oltre a quello di fornirci ‘occhiali diversi’ con cui guardare le logiche del mondo sia umano che naturale in modo unitario, c’è quello di trasformare le crisi attuali che ci investono in risorse strategiche per il futuro, se vengono ben individuate e affrontate con strumenti che mettano da parte le semplificazioni sempre in agguato; se fare i conti col ‘groviglio di inestricabile complessità’ o di ‘ipercomplessità’ come lo chiama Edgar Morin nel far sua programmaticamente l’idea pascaliana di uomo come ‘garbuglio’, genera inevitabilmente del realismo inquieto, è sempre tale atteggiamento che poi porta a mettere in campo dei ‘rimedi razionali’, come li chiamava Hélène Metzger, per comprendere questo nuovo momento della storia della Terra, chiamato Antropocene dove l’uomo è diventato, a dirla con Mauro Ceruti, ‘una grande forza della natura’ e soprattutto intervenire adeguatamente per far fronte alle possibili catastrofi o ‘policatastrofi’. Il volto da realismo inquieto della complessità ci consegna una immagine dell’umanità più fragile, libera da visioni prometeiche e frammentarie, ma più vera nel cogliere il grido di sé stessa nel prendere coscienza critica dell’essere incompiuta e dell’avere in mano, più che mai rispetto al passato, le sorti dell’intero pianeta.


FontePhotocredits: https://www.minimaetmoralia.it/wp/wp-content/uploads/2012/07/3015699855_bf67bc6ee1_o.jpg
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Mario Castellana, già docente di Filosofia della scienza presso l’Università del Salento e di Introduzione generale alla filosofia presso la Facoltà Teologica Pugliese di Bari, è da anni impegnato nel valorizzare la dimensione culturale del pensiero scientifico attraverso l’analisi di alcune figure della filosofia della scienza francese ed italiana del ‘900. Oltre ad essere autore di diverse monografie e di diversi saggi su tali figure, ha allargato i suoi interessi ai rapporti fra scienza e fede, scienza ed etica, scienza e democrazia, al ruolo di alcune figure femminili nel pensiero contemporaneo come Simone Weil e Hélène Metzger. Collaboratore della storica rivista francese "Revue de synthèse", è attualmente direttore scientifico di "Idee", rivista di filosofia e scienze dell’uomo nonché direttore della Collana Internazionale "Pensée des sciences", Pensa Multimedia, Lecce; come nello spirito di "Odysseo" è un umile navigatore nelle acque sempre più insicure della conoscenza.