«… quando s’ode cosa o vede 
che tegna forte a sé l’anima volta, 
vassene ‘l tempo e l’uom non se n’avvede»

(Purgatorio, IV, vv.7-9)

Il tempo e il desiderio: sono i due protagonisti del quarto del Purgatorio, che vede anche l’incontro tra Dante e il suo amico Belacqua, della schiera dei negligenti a pentirsi.

Il canto si apre appunto con una dotta riflessione del Poeta su come il tempo scorra in maniera diversa a seconda che l’anima sia tutta presa da ciò che ne afferra l’attenzione oppure no. Dante, seguendo il pensiero tomista, intende dimostrare che l’anima è una sola e non tripartita come invece vorrebbe la dottrina platonica e averroistica.

A me tornano in mente le parole di sant’Agostino: «In te, anima mia, misuro il tempo» e non c’è bisogno di essere filosofi per sapere che un’ora trascorsa con la persona amata sia molto più “breve” di una impegnata ad ascoltare una lezione …tanto che a volte penso bisognerebbe prevedere per taluni prof e conferenzieri un corso obbligato di ascolto delle lezioni altrui e direi la stessa cosa di chi tiene certe omelie così soporifere che manco la valeriana!

Dante, meno eretico di me, intende però sottolineare quanto il concetto del tempo sia importante per chi ha fretta di vedere Dio e intanto deve portare a termine la propria purificazione. La sua minuziosa descrizione delle difficoltà dell’erta che lui e Virgilio stanno affrontando ha il medesimo effetto: si fa fatica a salire, si sale lentamente eppur si deve, se si vuol arrivare laddove la strada si appiana e si è attesi da Beatrice.

Anche il giocoso e sorridente incrocio con Belacqua obbedisce a questa logica: Dante si chiede come mai l’amico non si affretti nel proprio cammino, ma Belacqua, che pur vorrebbe accorciare la propria attesa, gli fa notare che a nulla varrebbero i proprio sforzi se questi non fossero in consonanza col volere divino e sta di fatto che chi è stato pigro a pentirsi in vita sconta ora un’attesa lunga quanto la propria stessa esistenza, a meno che questa non venga abbreviata dalle preghiere dei propri cari, cosa che già avevamo appreso dall’incontro con Manfredi.

Insomma, ci viene proposta una sorta di “chiave di violino” per suonare il pentagramma del purgatorio: da una parte il tempo, l’attesa, la fatica del cammino, dall’altra il desiderio che avanza «con l’ale snelle e con le piume» (v. 28) e che quella medesima attesa non fa più percepire, mentre consente di superare anche gli ostacoli più grandi.

Chissà che questa medesima “chiave” non possa valere anche per chi, come noi, attraversa questa valle di lacrime …e di sorrisi.

Charles-Ferdinand Ramuz: «La sola vera tristezza è nell’assenza di desiderio».

Rabindranath Tagore: «La farfalla non conta i mesi ma i momenti e ha tempo a sufficienza».

Abbé Pierre: «Un sorriso costa meno dell’elettricità, ma dà più luce».

Fryderric Franicszek Chopin: «Chi non ride mai non è una persona seria».


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...