È come se ci stessimo disabituando a toccare gli altri e a farci toccare da loro

Lo psicanalista Zoja nel testo La morte del prossimo spiega come, oggi più che mai, la prossimità sia gravemente minacciata dalla cultura dell’individualismo e dai moderni mezzi di comunicazione, i quali ci permettono di vedere cose e persone di ogni dove, ma non di toccarle, di essere veramente e pienamente coinvolti nelle relazioni.

È come se ci stessimo disabituando a toccare gli altri e a farci toccare da loro. Del resto se di fronte ad esseri umani morti in mare si è disposti ad una totale indifferenza e a parole ironiche e superficiali, evidentemente qualcosa non funziona. Ma chiediamoci contemporaneamente quanta com-passione ci suscita chi è immediatamente prossimo a noi, con le sue esigenze, la sua sensibilità, la sua storia, ciò che ha da raccontare anche quando abbiamo troppo da fare per perderci in chiacchiere… chiacchiere che non siano le nostre poi, che possono decentrarci qualche minuto.

Cum-patire: che bella parola! Patire insieme: la gioia, il dolore, la paura, la rabbia, l’insofferenza; e ancora la povertà, la disoccupazione, le offese, i successi lavorativi, sportivi, scolastici, la vita e la morte. Significa provare ad entrare nell’altro, per chiedersi: «chissà se quella parola fosse stata detta a me; chissà se quella situazione fosse toccata a me…». È come portare l’altro in grembo e doverlo partorire alla speranza. Una mamma lo sa: portare in grembo nove mesi una creatura le ha insegnato la responsabilità di connettersi continuamente con i suoi bisogni e (si spera) l’urgenza di declinarla nel quotidiano.

Le neuroscienze dicono che quando siamo raggiunti da determinate informazioni riguardanti situazioni a noi vicine, si attiva nel nostro cervello l’area deputata alle emozioni, per cui siamo più propensi a lasciarci coinvolgere. Quando, invece, riceviamo dati circa cose molto lontane dalle nostre abitudini e comodità, emettiamo giudizi più razionali e distaccati, poiché nel nostro cervello si attiva la zona deputata al ragionamento cognitivo.

E se provassimo ad allargare la gamma delle situazioni da cum-patire? Se immaginassimo di toccare con mano certe cose? Se provassimo a ragionare con il tatto? Si, il tatto, il senso dell’amore. E ritorna la gravidanza come esperienza e metafora di sensibilità piena: non è forse attraverso le innumerevoli carezze sul ventre gravido che genitori e nascituri iniziano a comunicare? Non è forse il prendersi per mano degli sposi ad inaugurare il rito del matrimonio? Non impariamo a conoscere sentendo le cose sulla pelle delicata dei primi anni d’età? E quando ci capita di soffrire non ammettiamo forse di aver toccato il fondo? E, ancora, quando vogliamo proteggerci da qualcosa o da qualcuno non cerchiamo di dimostrare come quel qualcosa o quel qualcuno non ci tocchi?

Tatto viene da tango, il verbo latino che indica proprio l’azione del toccare. Ma il tango è anche il nome di un ballo famoso per quella passione scaturente proprio dai gesti di contatto dei partners coinvolti: dovremmo sentire sulla pelle una danza irresistibile di sentimenti ed emozioni tutte le volte che siamo di fronte a un volto, vivo o virtuale. Dovremmo veramente allenarci a toccare il mondo, non per possederlo e riplasmarlo a nostra immagine e somiglianza, ma per lasciarci toccare e cambiare. In una società ammalata nelle relazioni, specifica in effetti Zoja, la vicinanza si traduce spesso in possesso e plagio dell’altro, pericolosi e deplorevoli tanto quanto l’indifferenza.

Simona Atzori, ballerina nata senza braccia, danza la gioia di vivere in tutta Italia e oltre: non tratta la propria disabilità come motivo per pretendere a tutti i costi comprensione e diritti, ma ne ha fatto un personalissimo linguaggio per toccare gli altri… e per lasciarsi toccare, visto il suo impegno attivo per tante situazioni di povertà. È solo un esempio di quanta passione serva per vivere bene, di quanta com-passione occorra per farlo pienamente, di quanto il saper toccare sia in grado di dire chi siamo…e se siamo quel qualcuno che fieramente affermiamo di essere.