«L’unico modo di resistere è ostinarsi a pensare con la propria testa e soprattutto a sentire col proprio cuore»

(Tiziano Terzani)

Caro lettore, adorata lettrice,

è proprio vero che nelle difficoltà emerge l’uomo, la donna: la persona.

La difficoltà, la crisi, è una cartina di tornasole, una lente di ingrandimento: fa emergere tanto la meschinità quanto l’eroismo.

O perlomeno io la penso così e così mi pare dimostrino i fatti: quelli che il Coronavirus ci fa drammaticamente toccare con mano ogni giorno di più.

E ci capita, dunque, di ammirare profondamente il medico o l’infermiere che rischia la propria vita per curare i suoi pazienti, e poi si ammala e muore, o il capitano che scende per ultimo dalla sua nave e, con gioia di tutti, dopo una lunga quarantena torna felice dai suoi cari. Veri eroi o santi laici: o come più ti piace definirli, al di là di ogni retorica definizione.

Io, confesso, ho anche una particolare ammirazione per tutte le commesse e gli altri addetti alle vendite che rischiano la vita per quattro soldi, pur di non far mancare il cibo sulle nostre tavole. E poi ci sono i vigili, le forze dell’ordine, la protezione civile, chi guida i mezzi pubblici, gli autotrasportatori. Ma l’elenco delle persone da applaudire sarebbe davvero troppo lungo…

E poi ci capita di restare sgomenti per chi ha invaso la stazione di Milano nella notte della folle e sconsiderata fuga dal Nord e di indignarci fin dentro al midollo delle ossa per gli sciacalli che approfittano di questa tragedia per speculare, truffare, rubare: farabutti, delinquenti, pezzi di melma. E mi fermo qui.

Fatti. Sempre fatti. Di segno opposto. Che ognuno interpreta come vuole. Solo che Pietro Nenni avverte: «Un fatto, anche il più modesto, conta più di una montagna di ipotesi».

E allora, se le chiacchiere stanno a zero e i fatti sono contraddittori, vorrà dire che sono la vita, la realtà, l’uomo, ad essere contradditori e non è colpa del Coronavirus se ci mette a nudo.

Potrebbe, per assurdo, essere un merito di questa immane tragedia cogliere l’opportunità di riconsiderare le nostre relazioni, proprio quelle che oggi tanto ci mancano. Potrebbe essere che scopriamo amici che non pensavamo di avere. Oppure che rubricavamo sotto la parola “amicizia” relazioni che, al più, potremmo considerare di convenienza, foss’anche reciproca.

Potremmo scoprire di amare “metà ta physicà” (oltre la realtà fisica) e di odiare whatsapp che continuamente vibra, allontanandoci dai noi stessi nell’illusione di avvicinarci agli altri.

Potrebbe essere che riconsideriamo il nostro modello di “sviluppo” che si dimostra, invece, un modello di involuzione.

Albert Einstein si diceva grato a quanti, nel corso del suo cammino, erano stati capaci di dirgli dei “no”: perché, a suo avviso, erano stati propri quei rifiuti a permettergli di andare oltre. Tiziano Terzani invita a pensare con la propria testa e a sentire col proprio cuore. Io voglio credere che il grande “no”, che oggi la vita e la natura ci stanno sbattendo in faccia, ci permetterà – se, quando e perché ce la faremo – ad essere un po’ più veri, un po’ più noi, un po’ più consapevoli, un po’ meno superficiali. Un po’ più legati all’essenziale e liberi dall’effimero.

Effimero, dal greco: “ciò che dura per un giorno solo”.

Durerà un giorno solo la nostra paura della morte? C’è da augurarsi di no.

E durerà un giorno solo un sano amore per la vita? Anche qui: speriamo di no.

Perché sarebbe davvero stupido temere, oggi, per un virus e ammazzarsi, domani, in mille altri modi. O far finta di essere vivi.

Peraltro, io spero che duri più di un giorno anche l’invito alla gentilezza che da tante parti si coglie: ho pianto davvero al video dei cittadini della bavarese Bamberg che cantavano “Bella ciao” per unirsi al coro di noi Italiani. Sì, ha proprio ragione Madre Teresa: «Le parole gentili sono brevi e facili da dire, ma la loro eco è eterna».

E così voglio sperare che l’angoscia che stiamo attraversando ci riporti indietro a quando eravamo bambini, a quando eravamo in grado di stupirci per un filo d’erba, un uccellino in volo, un raggio di sole, una goccia d’acqua, un ciottolo nel greto di un fiume, una conchiglia sulla spiaggia, un aquilone.

L’ha scritto san Gregorio di Nissa: «Solo lo stupore conosce». Che il Coronavirus ci lasci stupefatti: e che possa essere, questo, un sano risveglio.

Da stupefatti. Come per un canto che si spande nell’aria o un sorriso scambiato per strada tra sconosciuti.

Guarda il video di Bamberg

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FontePixabay liberamente modificata da Myriam Acca Massarelli
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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...

2 COMMENTI

  1. Beh, ho scoperto oggi un preside come non ne vedevo da 20 anni.
    In realtà uno che condivide la visione personale ed educativa mia e di mia moglie.
    Dovevo immaginarlo, dopo la lettera che inviato 10 giorni fa ai ragazzi della scuola che dirige, e quella di oggi.
    …se non ritornerete come bambini…

    • Gentile Nicola,
      grazie. Le sue parole mi lasciano stupito e onorato. Fanno bene al cuore. Grazie!

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