Auguro ad ogni uomo di essere padre e ad ogni padre di essere uomo

Che meraviglioso, inesplorato mondo quello dei padri!

Li vedi passeggiare per strada dietro ai loro piccoli e rientrare stanchi dopo una giornata di lavoro. Li vedi alle prese con i figli cresciuti; poi ne vedi altri, che figli naturali non ne hanno eppure spargono generosamente vita intorno a loro.

I padri li senti tacere e li guardi andare avanti con caparbietà. Non ne cogli facilmente le lacrime, né i sentimenti: si dice, infatti, che l’uomo sia tutto d’un pezzo e che nella coppia egli sia chiamato ad esercitare la razionalità, accanto alla donna più incline all’emozione. Insomma la praticità è del maschio, l’interiorizzazione e l’analisi (fino allo sfinimento, oserei dire!) sono della femmina. Ma nelle distinzioni troppo nette, si sa, le sfumature vanno perse e i chiaroscuri tipici dell’umanità si diradano fino all’appiattimento della bellezza la quale, così, non è più tale.

Tempi difficili, durissimi per gli uomini e per i padri.

La donna ha preteso il proprio giusto riscatto dopo secoli di oscurantismo; ma accanto alle conquiste giuste si annovera la pesante sconfitta di aver voluto semplicemente imitare l’altro sesso il quale, intimidito dalla forza rivoluzionaria femminile, confuso sulla propria identità, è imploso.

L’anonimato, la timidezza, l’inconsistenza di tanti padri disoccupati, disorientati, ininfluenti, distratti, completamente schiacciati dall’ipertrofia femminile nella società come nella famiglia, è una cifra della crisi maschile.

E poi c’è la regressione più totale, ingiustificabile, gravissima, per la quale ogni analisi è insufficiente, anzi inutile: la violenza bruta sulla donna per gelosia e brama di possesso; lo sfruttamento della prostituzione; gli abusi nella Chiesa.

Qual è il filo rosso? La paternità, credo: la crisi dell’uomo è crisi di paternità.

L’uomo è padre, dice l’Antico Testamento. La sua forza generativa è racchiusa in quel seme che non deve andare perso per nessuna ragione. Deve attecchire, ha bisogno di un terreno, di un giardino, di un orto. Ha bisogno della donna, che senza l’uomo è vacua, in balìa del suo sangue. Uomo e donna si salvano vicendevolmente: dalla dispersione lui, dal vuoto lei. Stupenda l’antropologia biblica! Fraintesa, tacciata di maschilismo, eppure preoccupata semplicemente di dare e tutelare la vita. Ma quanto può dire all’oggi questa cosa, all’oggi della privatizzazione del corpo, della debolezza dei limiti, dei legàmi e dell’autorità, del rifiuto delle leggi e della crescita, dell’incapacità di generare.

Nel Nuovo Testamento, però, accade qualcosa di inaudito. Gesù, il Messia, non ha padre naturale, se non il Padre dei cieli; non è padre e non si sposa…uno scandalo per i Giudei!

Qui sta il punto cruciale: è l’amore che genera, l’amore che dà vita. Ecco la paternità, amore generativo al di là dell’avere materialmente figli o meno. Il seme non basta più, è sempre sacro ma non basta; occorrono il servizio, il dono di sé, della propria vita per dare vita veramente.

La violenza, l’abuso, l’anonimato prima descritti sono malattie de-generative, colpiscono la generazione esistenziale cui l’uomo, il maschio è chiamato: verso la propria donna e i propri figli; verso la parrocchia, la comunità, i figli spirituali da guidare.

Nessuna meraviglia sulla crisi della fede odierna: come si può parlare di Dio Padre, annunciarne l’amore in grado di salvare in questa tremenda crisi di padri?

Occorre ripartire da quella forza e da quel coraggio costitutivi dell’uomo, scalpitanti in lacrime ed emozioni assolutamente esistenti e rivelati egregiamente nella stupenda capacità di costruirsi una genitorialità non scontata. Se la donna, infatti, vive con immediatezza la maternità per mezzo del suo utero, l’uomo si costruisce gradualmente come padre, entra piano piano nel mistero e non senza fatica. Ma quando vi entra, è capace di miracoli.

Auguro ad ogni uomo di essere padre e ad ogni padre di essere uomo.

Auguro di poter ricominciare sempre e veramente, di credere nella bellezza della mascolinità e nella sua capacità generativa, che è stata inaugurata con l’emozione e con il canto di Adamo di fronte a Eva: egli, stupito e grato, non può fare a meno di cantare «osso delle mie ossa, carne della mia carne», di amarla, dunque di darle vita.

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2 COMMENTI

  1. Parole stupende! Incantato da questo testo pensato e scritto da una donna.
    Aggiungo che la crisi ha colpito entrambi i sessi, ferendoli e lacerandoli. Ma questo è un discorso troppo lungo che ora non ho il tempo e il modo di intraprendere.
    Circa il concetto sulla “rivoluzione femminile”, l’emancipazione della donna maturata nell’era contemporanea è avvenuta con il sostentamento delle logiche del mercato. Di ciò in futuro se ne prenderà atto a motivo del prezzo che la donna pagherà e, con lei l’uomo, in quanto entrambi sono inscindibili nelle dinamiche dell’Amore. Inoltre il senso di maggior “autodeterminazione” che la donna oggi percepisce è dovuto per larga parte alla prospettiva relativista sulla vita*.
    Alternativamente possiamo pensare non propriamente nei termini di una crisi del padre (o del maschio) ma in una logica di donazione dell’uomo nei confronti della donna: oggi egli ha più semplicemente cominciato a farsi da parte per veder risplendere e contemplare la bellezza femminile nella sua totalità, quale dono divino senza misura. La sfida contemporanea è invece rivolta alla donna: sarà capace di amare l’uomo ed essere madre accogliente in una società mercatale e competitiva che la vuole emancipata dall’essere coppia, dall’essere uno con l’uomo?

    * le blasonate lotte sociali della donna nei passati decenni non sarebbero bastate da sole. Poi, la donna non lotta come “classe”, come “sesso”, lei lotta come azione dell’amore (non so se qui riesco a farmi comprendere).

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