Conosciamo il pensiero di uno dei più noti filosofi degli ultimi tempi, annoverato assieme a Schopenhauer nella corrente dell pessimismo

Søren Aabye Kierkegaard nasce a Copenaghen, in Danimarca, il 5 maggio dell’anno 1813 e scompare nella stessa città l’11 novembre 1855. Cresciuto in una famiglia dal padre molto religioso, decide di iscriversi alla facoltà di Teologia all’università di Copenaghen. Successivamente, a Berlino partecipò alle lezioni di Friedrich Schelling, il quale, insegnando la sua filosofia, parlava della netta distinzione tra realtà e ragione. Inizialmente ascoltava con piacere le lezioni, ma in seguito ne rimase deluso. Questo perché Schelling è collocabile nell’idealismo, quindi nel positivismo, mentre lui, come Arthur Schopenhauer, è collocabile nel pessimismo. Kierkegaard vive un’esistenza travagliata, colma di incertezze che avremo modo di comprendere meglio successivamente, trattando il suo pensiero filosofico. Più nello specifico, egli, nel ‘’Diario’’, parla di ‘’grande terremoto’’ e di ‘’scheggia nelle carni’’; con queste due espressioni il filosofo si riferisce ad avvenimenti spiacevoli che hanno segnato la sua vita (uno di questi è, per esempio, la fine del fidanzamento con Regina Olsen, citato nel caso del ‘’grande terremoto’’).

La filosofia del danese si contrappone all’idealismo romantico tedesco per quattro punti: egli esalta la singolarità dell’uomo, gli idealisti l’universalità dello spirito; egli rivaluta l’esistenza concreta, gli idealisti propendono per la ragione astratta; egli crede nell’inconciliabilità delle alternative, gli idealisti nella sintesi conciliatrice della dialettica; egli considera la libertà come possibilità, gli idealisti come necessità.

Come si può intuire, il danese non è certamente un sostenitore di Hegel, uno dei maggiori esponenti dell’idealismo. Riteneva, infatti, che la sua filosofia fosse pretenziosa e incoerente.

Addentrandoci nel pensiero filosofico di Kierkegaard, uno dei concetti fondamentali consiste nella considerazione dell’intera esistenza dell’uomo basata sulla categoria della possibilità, con accezione negativa. Dal suo capolavoro ‘’Aut-Aut’’ emerge che egli tratta due tipi di possibilità: la ‘’possibilità-che-sì’’ e la ‘’possibilità-che-non’’. Dunque, egli ritiene che l’uomo sia sempre dinanzi a terribili alternative, che non fanno altro che paralizzarlo; è così che l’uomo si trova in uno stato di indecisione e prova angoscia, ma anche la non-scelta genera angoscia. Così si perviene all’impossibilità della scelta, che è la condizione di indecisione e di instabilità dell’io (il cosiddetto ‘’punto zero’’). Per questo motivo è stato definito ‘’discepolo dell’angoscia’’. È da ricordare che anche lui ha provato questa sensazione e ne ha parlato nel caso della ‘’scheggia nelle carni’’.

Secondo Kierkegaard la verità è soggettiva. Egli, conseguentemente, esalta il singolo sul genere, come abbiamo visto precedentemente. Per questo motivo, egli esalta la soggettività dell’esistenza dell’uomo; si perviene, così, alla soggettività della religione e quindi ad un rapporto intimo, personale, con Dio.

Un altro dei concetti fondamentali del pensiero filosofico del filosofo danese consiste nel chiarire le possibilità fondamentali che si offrono all’uomo, cioè gli stadi, dunque le alternative, dell’esistenza. Questi sono tre: il primo è la vita estetica, il secondo è la vita etica e il terzo è la vita religiosa. Ogni stadio è caratterizzato da un proprio tipo di vita; i primi due sono i due stadi fondamentali dell’esistenza e fra di essi vi è un ‘’abisso’’, che è maggiore tra il secondo e il terzo stadio. Gli stadi non sono connessi: si può scegliere in quale rimanere. Vi è, però, un ordine gerarchico in questi stadi: si può passare dal primo al secondo e dal secondo al terzo, ma non si può tornare indietro dopo aver effettuato un passaggio, poiché il secondo stadio è migliore del primo, così come il terzo è migliore del secondo. Parlando della vita estetica, la sua immagine è quella di Don Giovanni, protagonista del suo romanzo ‘’Diario di un seduttore’’; ricordiamo che ‘’Don Giovanni’’ è anche un celebre capolavoro di Mozart. Don Giovanni vanta molteplici relazioni con donne, ma questo è dato dalla sua incapacità di trovare in una donna quell’infinità di piacere e di realizzazione della quale va in cerca. Dunque la dimensione della vita estetica è quella edonistica, dell’immediatezza: si evita la ripetizione e si va sempre in cerca di nuove esperienze che possano arrecare piacere. Questo tipo di vita, però, si rivela poi insufficiente e misera nella noia e per poter uscire da questo stadio è necessario lasciarsi andare alla disperazione; è così che si passa alla vita etica. Lo stadio etico è la scelta della vita perché si sceglie la libertà, quindi si sceglie di vivere. L’immagine della vita etica è l’uomo-marito e l’uomo nel mondo del lavoro. Questo stadio è caratterizzato dalla ripetitività, da una routine che si ripete continuamente. Scegliere questa vita significa anche pentirsi, perché l’uomo perviene al conoscimento della sua intera storia, interfacciandosi con gli aspetti positivi e negativi e quindi è a conoscenza anche della parte più crudele della sua storia. E così l’uomo, pentendosi, perviene allo stadio della vita religiosa, con la fede concepita come, appunto, antidoto alla disperazione. L’immagine di questa vita è Abramo, del quale il filosofo parla nella sua opera ‘’Timore e tremore’’. Scegliendo di passare alla vita religiosa si sceglie di sottostare ai principi divini che possono entrare in contrasto con quelli sociali e morali. Infatti Abramo, per dimostrare la sua fedeltà a Dio, uccide suo figlio. Questo tipo di vita comporta, dunque, una rottura con la società; in tal modo si perviene ad un rapporto intimo con Dio, un rapporto assoluto con l’assoluto. Si ha, per questo motivo, il dominio della solitudine. A questo stadio di vita sono associati i termini paradosso e scandalo. Questo perché è posto l’interrogativo su come l’uomo possa sapere che, scegliendo la fede e rinunciando alla dimensione etica, possa essere eletto da Dio. Ciò è causa di angoscia, non essendoci una risposta certa a questa domanda, ma tale questione è superata sempre grazie a Dio, poiché è Lui che indica all’uomo la strada da percorrere. In tal modo l’uomo si tranquillizza e ciò giustifica il perché la fede sia l’antidoto alla disperazione. La fede è anche un paradosso, però, in quanto non si conosce esattamente la sua essenza. Per Kierkegaard la frase peggiore esistente è quella che Cristo rivolge a Giuda: ‘’Ciò che devi fare, affrettalo’’. Questa affermazione causa angoscia, poiché Gesù dice a Giuda di affrettare la sua scelta, generando in lui incertezza. Questo perché l’angoscia è radicata nel futuro in quanto vi è una corrispondenza tra il possibile e l’avvenire.

A proposito di curiosità su Kierkegaard, il danese non era proprio un sostenitore di Hegel, come si è potuto capire dalla sua filosofia. Riteneva, infatti, che la sua filosofia fosse pretenziosa e incoerente.

Nonostante il filosofo danese sia ad oggi considerato uno dei più noti, tra i moderni, a suo tempo non riscosse subito successo. Difatti, per esempio, il suo saggio ‘’Briciole filosofiche. Ovvero un poco di filosofia’’, il quale titolo è una frecciatina a Hegel, il quale elaborava opere considerevolmente ampie, è stato uno dei suoi flop clamorosi. Quando Kierkegaard fu a conoscenza della mal riuscita della sua opera ebbe una crisi tale da portarlo a chiudersi in casa per oltre sette giorni.