
LA DONNA CHE VISSE DUE VITE
Si dice che nella vita delle persone ci sia sempre un prima e un dopo, una linea di demarcazione netta e spessa che divide l’esistenza in due momenti diversi. Se si pensa alla vita degli sportivi di successo, questa demarcazione può sembrare più lampante. La carriera ad alti livelli di un atleta può iniziare anche molto prima e il caso della tredicenne Arianna Manfredini, che ha esordito nel campionato A2 di pallavolo, ha fatto scalpore per la sua precocità ricordando, con le dovute proporzioni, traiettorie simili a quelle che portarono Nadia Comaneci sull’Olimpo dei grandi a soli quattordici anni. Parliamo, in quest’ultimo caso, di un fenomeno, di un mostro sacro dello sport e delle Olimpiadi, al pari dei vari Spitz, Lewis, Phelps e Biles, giusto per citarne alcuni.
L’ascesa di Nadia è stata a dir poco fulminea.
Nata il 12 novembre 1961 da Gheorghe e Ștefania-Alexandrina, all’età di sei anni fu notata dall’allenatore Bela Karolyi che la portò nella sua squadra. Fino ai nove le sue straordinarie qualità sembravano essere ancora in una fase embrionale e le prestazioni ai campionati nazionali juniores di Sibiu non furono determinanti ai fini della prima importante vittoria di squadra della sua carriera. Fu forse quel parziale insuccesso che la convinse ad intensificare le ore di allenamento, passando dalle tre stabilite dai coniugi Bela ad un numero più alto e di volta in volta imprecisato. I risultati non mancarono e la imposero tra le più promettenti ginnaste del panorama mondiale. I primi grandi successi internazionali li ottenne ai campionati europei di Skien dove vinse quattro medaglie d’oro. Ma il nome di Nadia Comaneci si è legato per sempre alle Olimpiadi di Montreal dove sorprendentemente vinse tre ori, un argento e un bronzo. Quando scendeva in pedana tutto il pubblico sapeva che nel silenzio sarebbe accaduto qualcosa di straordinario, che quel mezzo minuto di routine sarebbe stato memorabile, avvicinando i comuni mortali ai canoni della perfezione che nemmeno lo strumento tecnologico aveva potuto prevedere : “Il pubblico esplose in grida di entusiasmo, consapevole di aver assistito a uno spettacolo eccezionale. Siccome la campanella che annunciava il punteggio sul tabellone tardava a farsi sentire, il mormorio della folla crebbe fino a diventare un tumulto. Il pubblico era impaziente e gli spettatori cominciarono a cantilenare, fischiare e applaudire in vari modi fino a quando, finalmente, il tabellone indicò un punteggio di 1.00. Erano tutti confusi. Era davvero possibile che le avessero assegnato un voto così terribilmente basso? Lo sguardo di Nadia cercò Károlyi tra la folla, ma non lo vedeva da nessuna parte. Si era alzato e aveva fatto qualche passo in direzione di uno degli arbitri, che aveva alzato tutte e dieci le dita in segno di soddisfazione. A Nadia infatti era stato assegnato un 10! Dopo l’1 c’era un punto perché il tabellone elettronico era programmato in modo da non poter riportare un punteggio superiore a 9.99.”
Era avvenuto che una ragazzina semisconosciuta di un Paese piccolo e lontano aveva cambiato per sempre la storia della ginnastica.
Nessuna prima di lei aveva ottenuto un “dieci”.
Arrivarono i successi internazionali, le attenzioni soffocanti del regime e gli ori di Mosca mentre lei diventava una donna. La fama e la notorietà planetaria l’avevano colta nel periodo critico dell’adolescenza e ne avrebbero minato le prestazioni. La Securitate la controllò ripetutamente sotto il nome in codice di Corina, non la lasciò libera di vivere la sua vita, ingabbiata tra gli onori sportivi e i lauti premi che il regime di Ceaușescu aveva elargito. Divenne parte stessa della propaganda mentre i servizi segreti la braccavano e i suoi allenatori la sottoponevano a stress e a un durissimo regime alimentare. Non le era permesso incontrare ragazzi e se c’era qualche amicizia queste venivano costantemente monitorate.
Quando Nadia nel 1981 lasciò la ginnastica agonistica il senso di oppressione aumentò.
Nonostante gli onori e il lavoro da allenatrice, che rimase sulla carta, si sentiva braccata, oppressa, continuamente sotto la lente di ingrandimento del regime e della Securitate che mai la lasciò respirare. Si racconta che avesse avuto anche una relazione con il figlio del Conducator, Nicu Ceaușescu, da lei smentita ma confermata da altre persone.
Il regime aveva paura che lei fuggisse dal Paese.
Non avrebbe potuto tollerare che la più grande sportiva, la cui popolarità era superiore a quella di Ceaușescu, potesse lasciare la Romania. La scelta di scappare fu sorprendente e repentina, al tal punto che persino sua madre non ne fu a conoscenza. Aveva ventotto anni, un’età in cui spesso molte persone iniziano a realizzare i propri progetti, o forse non li hanno ancora intesi. Lei era Nadia Comaneci e splendeva già di luce propria, ma aveva bisogno di vivere secondo le modalità della normalità.
La fuga fu organizzata la notte tra il 27 e il 28 novembre 1989.
Assieme ad altre sei persone, Nadia attraversò il confine tra Romania e Ungheria sotto la guida di un pastore esperto della zona, George Talpos detto Ghita, aspettando il momento giusto offerto dalla notte per fare il grande passo verso la libertà. Di quella notte particolare la Comaneci ricorderà nel suo libro Lettera a una giovane ginnasta le angosciose ore: “Quando camminavamo al buio, ognuno metteva le mani sulle spalle di chi gli stava davanti perché, una volta allontanati dalla casa, era impossibile vedere. Se non avessi toccato la persona davanti a me, mi sarei separata dal gruppo e mi sarei persa.”
Il gruppo dei fuggiaschi raggiunse l’Ungheria all’alba in un punto segnato da una fredda pietra miliare, laddove il confine era privo di recinzioni di filo spinato. Dopo non molto tempo furono intercettati da due guardie che li portarono a Kiszombor per essere interrogati secondo prassi. Come era prevedibile, il trattamento riservato alla Comaneci fu di riguardo: fu interrogata in una stanza diversa da quella dei suoi compagni di fuga che avrebbero poi ammirato e ringraziato il gesto coraggioso della ginnasta, così come descritto nel libro Nadia Comaneci e La Polizia Segreta di Stejarel Olaru:” Tutti però ricordano un dettaglio cruciale che riguarda il comportamento di Nadia e che probabilmente cambiò il loro destino; alcuni di loro infatti erano stati consegnati alle autorità romene, che avevano negato il permesso di soggiorno in Ungheria. Dopo aver appreso la decisione delle guardie di frontiera ungheresi, la reazione di Nadia fu rapida e sorprendente: disse che se la situazione era quella, sarebbe tornata in Romania con loro. «L’ho ammirata per questo: aveva del carattere!» ricorda Talpoş, che probabilmente non si rendeva pienamente conto di cosa gli sarebbe successo se fosse caduto nelle mani della Securitate.”
I parenti dell’atleta furono interrogati e per loro fortuna gli eventi della storia vennero in loro soccorso. Caduto il Muro di Berlino proprio qualche settimana prima della fuga, il regime comunista si sfaldò provocando la morte di un migliaio di persone nel giro di pochi giorni e l’esecuzione di fronte al plotone di esecuzione di Nicolae ed Elena Ceausescu.
La vita di Nadia Comaneci è continuata negli Stati Uniti.
Si è sposata con Bart Conner da cui ha avuto un figlio.
Nadia Comaneci sarà per sempre la più giovane ginnasta ad aver vinto un’Olimpiade, l’atleta insignita del Collare d’Argento dell’Ordine olimpico, eponimo di due esercizi alle parallele, l’atleta della del “10”, uno scricciolo il cui nome è sinonimo di perfezione.