Segnalata da Vogue Italia tra i migliori talenti emergenti al “Fashion at Iuav 2015”, Adriana Suriano, classe 1990, andriese doc, ha debuttato agli ex Magazzini Frigoriferi della Giudecca a Venezia per le sfilate del corso di laurea magistrale in Design della Moda dell’Università Iuav.

I suoi modelli hanno incuriosito gli esperti del settore e sono piaciuti alle maggiori testate specializzate. Otto outfit tra abiti, giacche e pantaloni dalle forme morbide e destrutturate, in pieno stile androgino e unisex con capi declinabili sia al maschile sia al femminile, in un momento in cui la moda si fa a-sex.

Determinata e pronta a difendere le sue idee, con un piglio eccentrico che l’ha sempre distinta dal conformismo dilagante dei suoi coetanei, Adriana, dopo aver frequentato il liceo scientifico Nuzzi, si è laureata con lode alla triennale in Industrial Design per poi iscriversi alla specialistica in Arti visive e moda.

L’abbiamo incontrata durante le sue vacanze andriesi.

Design e moda: due scelte completamente diverse, almeno all’apparenza.

Diverse, appunto, solo all’apparenza. Parliamo in entrambi i casi di design e quindi di progettazione. Ciò che cambia è solo il prodotto finale. Ho sempre desiderato creare e quello non cambia, sia che si tratti di abiti, di grafica, di prodotto o di allestimenti. Aver variato mi ha fatto capire in quale campo volessi orientare e concentrare la mia progettazione e mi ha aiutata ad affinare il mio gusto. Se tornassi indietro, rifarei esattamente lo stesso percorso perché credo che oggi sia importante, anzi fondamentale, essere versatili ed avere una visione più ampia di quello di cui ci si occupa, anche per avere un maggiore controllo del proprio lavoro e soprattutto per aprirsi più strade per il futuro. E poi la moda non è solo creare abiti.

Cos’è la moda per te?

È difficile ogni volta rispondere a questa domanda. È una forma di linguaggio, il linguaggio per dar corpo al proprio mondo, alle proprie idee, al proprio ideale di bellezza.

Quali difficoltà hai incontrato approcciandoti al mondo delle passerelle?

Le difficoltà maggiori le ho incontrate perché mi mancavano delle nozioni basilari di modellistica, confezione, storia della moda. Aver fatto una triennale progettuale, però, mi ha sicuramente aiutata molto. Devo ammettere che l’ostacolo più grande da superare è stato l’insicurezza, dovuta al fatto che fosse la mia prima collezione. In questo ho avuto un supporto fondamentale dal designer e professore Paulo Melim Andersson, che mi ha seguita e sostenuta per tutto il periodo di questa lunga ricerca. Grazie alla sua spinta sono riuscita a “dare sfogo” alle mie passioni, trasformandole e trasportandole nella collezione.

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A chi ti sei ispirata per i tuoi modelli?

La mia collezione è un omaggio ad uno dei personaggi femminili più controversi ed interessanti di sempre: Annemarie Schwarzenbach. È lei la mia musa ed è da lei che sono partiti tutta la mia ricerca e il mio lavoro. Mi ha colpito la sua bellezza fortemente androgina, desiderata dal popolo maschile quanto dal genere femminile, il suo essere apertamente omosessuale, il suo essere trasgressiva: con la sua Ford giunse fino in Iran e Afghanistan negli anni in cui l’Europa si preparava alla seconda guerra mondiale. A questo si sono aggiunte due mie passioni o forse, per meglio dire, “ossessioni”: il vintage e i pigiami di seta.

Una musa ispiratrice perfettamente in sintonia con le nuove tendenze di una moda che sembra far suo il dibattito sulle teorie del “gender”. Sei convinta anche tu che vivere “da maschio” o “da femmina” sia una costrizione culturale ed esista, invece, solo l’identità di genere che può essere cambiata a piacere, magari chiedendo aiuto proprio agli abiti?

Sì, ne sono assolutamente convinta. È l’uomo che si è inventato il vivere da maschio o da femmina. Questi sono solo dettami imposti dalla nostra società e proprio per questo motivo, non essendo leggi assolute, nessuno può dirci chi e come essere, anche se penso che ci sia un limite al decoro. In questo devo ammettere di essere ancora un po’ tradizionalista.

Dalle forme destrutturate ai tessuti improbabili. Il tuo stile è stato definito “rilassante e quirky”: ti riconosci in questa definizione?

Sì, abbastanza. Infatti, uno degli aspetti che più mi ha colpita della Schwarzenbach è stato il suo saper essere sensuale in abiti non propriamente femminili, scevri da qualsiasi tipo di costrizione. È stata una ricerca sulla femminilità “celata” e – mi auguro – anche sull’eleganza.

Una bella vetrina quella del Fashion at IUAV. Cosa ti aspetti dopo questo debutto di successo?

Il Fashion at Iuav è un’enorme possibilità per noi designer “emergenti” e in questo credo che lo Iuav sia davvero eccellente. Adesso mi auguro di poter mettere a frutto ciò che ho imparato, magari in un’esperienza lavorativa all’estero.

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Qual è il tuo sogno nel cassetto?

Il mio sogno nel cassetto ha un solo nome da sempre: Valentino. Forse sembrerà pretenzioso, ma alla fine, se sognare non costa nulla, tanto vale farlo in grande.

E noi di “Odysseo” ti auguriamo di poter realizzare il tuo sogno!