Immaginate di dover comprare un regalo per un bimbo appena nato. Entrate nel negozio di giocattoli – magari nella vostra città non ce ne sono tanti, così andate dritti in quello che conoscete meglio. Immaginate di cercare un peluche, e di chiedere alla commessa uno di quei peluche per neonati: morbidi, senza pelo. Con tutta la buona volontà che ci metterete – che diciate neonato o usiate il plurale per risultare neutri, poco importa – tempo mezzo secondo e la suddetta commessa vi avrà già domandato: “Femminuccia o maschietto?”, mandando subito in frantumi il vostro progetto di evitare la questione “genere”.
Il binomio rosa-azzurro costringe le nostre esistenze su vie prestabilite ancor prima che riusciamo a metter fuori il naso dal grembo materno. I vestitini, i colori delle pareti e dei mobili: tutto viene deciso in precedenza in base al sesso del nascituro. Non siamo noi a scegliere: è qualcun altro che lo fa prima di e per noi, e senza accorgercene ci ritroviamo a presumere di preferire con consapevolezza una cosa piuttosto che un’altra – ma non è che il mero risultato di un lungo processo di “indottrinamento” sul genere. Pensare che questo abbia un peso talmente rilevante sulle nostre vite e che dipenda da una differenza puramente biologica è al contempo insensato e agghiacciante.
Ma se sono i colori a dare il via alla fiera degli stereotipi di genere, è sicuramente la televisione – e in particolar modo la pubblicità – a delineare il resto del tracciato. Di certo l’esposizione a vari tipi di idee e ambienti – reazionari o rivoluzionari che siano – formano la personalità di un bambino in crescita, ma è innegabile che mezzi di comunicazione forti come la pubblicità plasmino i gusti e decidano le preferenze della persona che il bambino sarà fin dalla prima infanzia.
Associandosi ai colori già menzionati, le immagini pubblicitarie che scorrono davanti ai nostri occhi ci mostrano due universi completamente a sé stanti: atmosfere delicate e scintillanti per i giocattoli da bambina, più turbolente e “dure” per quelli da bambino. Sport e guerra ai maschietti, cucina e bambole alle femminucce. E non solo di immagini si tratta: prestando attenzione alle parole infatti, si può notare l’aura di virilità, declinata in ogni sua sfumatura – velocità, forza, energia – che circonda gli articoli per bambini, e l’accento particolare posto invece sulla bellezza per quanto riguarda quelli per bambine. Bambini che sono i prodotti di questa comunicazione insidiosa e fuorviante non saranno capaci di pensare al di là del proprio genere e non potranno che diventare adulti imprigionati in schemi precostituiti che rischiano di non cambiare mai.
La domanda allora è: come si fa a crescere un figlio al riparo degli stereotipi di genere?
Si fa un gran parlare di femminismo, di fine dell’oggettivazione sia femminile che maschile, di parità, ma si lascia che i ragazzi scoprano da soli di che si tratta quando, ormai grandi, tentano di liberarsi – dove e per quanto possibile – dagli stereotipi e dai pregiudizi che il loro sesso e quello altrui si portano dietro come zavorre. Ma non sempre c’è la sensibilità giusta affinché questo accada. Perciò si dovrebbe pensare a costruire il senso critico nei bambini sin da piccoli, e non a instillare in loro paradigmi fissi che la società odierna purtroppo non ha ancora smesso di alimentare.
Nel negozio della vostra fantasia ora immaginate: una bambina sta giocando con una pista per trenini, un bambino chiede un kit per realizzare braccialetti…
Nel negozio reale, però, la commessa è ancora davanti a voi e il vostro sconcerto l’ha portata a indicarvi un timido peluche vestito di beige e marrone. Prendetelo, se ne avete il coraggio, e provate a lasciare sulla mensola quelli rosa e azzurri. Sperando, la prossima volta, di trovarne altri vestiti di giallo, arancio, verde o rosso.