Papa Francesco, mentre tornava in aereo dal Brasile, parlando con i giornalisti ebbe a dire a proposito degli omosessuali: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?». (Corriere della Sera, 29 luglio 2014).
Il Libro biblico dei Proverbi declama: «Lo spirito dell’uomo è una fiaccola del Signore che scruta tutti i segreti recessi del cuore (Bibbia, Proverbi, 20,27)».
Io non sono un credente, di nessuna religione positiva, ma sono interessato alla riflessione che, anche attraverso le religioni, altri uomini conducono sulla “condizione umana”, che è la condizione di tutti noi.
Il cristianesimo (che tra l’altro è l’unica esperienza religiosa che ho vissuto fino a una certa età) mi ha trasmesso il bisogno di una continua ricerca interiore e questa “attività” ha come necessaria conseguenza quella di far capire quanto ognuno di noi sia complesso e contraddittorio, eroico e vigliacco, intelligente e stupido. E ci fa capire quanto sia assurdo che un uomo giudichi e condanni un altro uomo, non in base a norme di una “legge positiva” (che definiamo e accettiamo per praticità e convenzione) , ma in base a una LEGGE che NOI, trasformandoci in LEGISLATORI UNICI, arbitrariamente crediamo ASSOLUTA e UNIVERSALE e di cui ci autoeleggiamo gratuitamente a strenui difensori e in nome della quale emettiamo CONDANNE e GIUDIZI DI VALORE su altri uomini che vivono condizioni e culture diverse dalla nostra.
Non sto facendo un panegirico del relativismo, ma – anzi – sto affermando una LEGGE ASSOLUTA: quella della comprensione e della “com – passione” di un uomo per un altro uomo.
Se questo atteggiamento morale si diffondesse, sicuramente anche le Leggi positive, quelle dello Stato, ne sentirebbero beneficio e – soprattutto – ne ricaveremmo vantaggio noi tutti nella vita quotidiana.
Concludo con queste bellissime parole di papa Francesco, riprese sempre da “L’Osservatore Romano” del 24/06/2014:
«Il Vangelo riferisce che “giudicare gli altri era uno degli atteggiamenti di quei dottori della legge ai quali Gesù diceva ‘pocriti’ ”. Si tratta di persone che “giudicavano tutto”. Però la cosa più “grave” è che, così facendo, “occupano il posto di Dio, che è l’unico giudice”. E “Dio, per giudicare, si prende tempo, aspetta”. Invece questi uomini “lo fanno subito: per questo chi giudica sbaglia, semplicemente perché prende un posto che non è per lui”».
[Foto copertina: www.vladimirluxuria.it ]
Giuseppe Del Mastro
Io volevo andare oltre il problema specifico dell’omofobia. Il “chi sono io per giudicare” di papa Francesco ha un valore più profondo. Intanto non credo sia un modo per evitare assunzioni di responsabilità, ma –al contrario- mi sembra che spinga ad una più cogente assunzione di responsabilità. Il giudicare non è condannare o assolvere un altro uomo, ma immedesimarsi nella situazione e condizione di vita dell’altro per “capire”, perché “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” (Terenzio). A mio parere questo approccio ai problemi etici ha una validità generale per la cultura e il pensiero dell’uomo, di tutti gli uomini, dell’umanità insomma; per ogni filosofia, per ogni religione. Infatti, l’atto di condannare o di assolvere è un modo per non assumersi responsabilità, per demandare ad un “codice morale esterno” la soluzione di problemi che sono “interni” ad ognuno di noi, e che ognuno di noi deve risolvere per se stesso, assumendosi in prima persona la responsabilità dei propri comportamenti e delle proprie scelte. Non so se riesco a esprimere bene il mio pensiero, ma –per quanto riguarda me stesso- le parole di papa Francesco mi spingono ad avere un grande rispetto per i miei simili, soprattutto per quelli che sono apparentemente più “lontani” da me e un atteggiamento più “critico” verso me stesso.