Il mese di novembre, insieme alla commemorazione dei defunti provoca una certa riflessione intorno all’aldilà: tra semplice curiosità e insegnamento della tradizione cristiana si aprono orizzonti in cui gli interrogativi scandiscono la ricerca.
La formula “l’inferno c’è ma è vuoto” è un luogo comune il cui moderno rilancio viene generalmente attribuito al teologo svizzero Hans Urs von Balthasar (1905 – 1988). Ma c’è chi sostiene che anche Benedetto XVI velatamente approvi tale formula nella sua enciclica “Spe salvi“.
Intorno a questo tema, a farla da padrone sono certi testi apocalittici della Bibbia che, se non inquadrati all’interno del proprio genere letterario, rischiano di essere fuorvianti. Caratteristica del linguaggio apocalittico, tipico di certi predicatori, è scuotere i propri fedeli con immagini stravolgenti: lo scopo non è informare sulla fine del mondo e sul dopo, ma fornire insegnamenti sul comportamento nel presente; è qui che il male provoca l’inferno.
Appartengono a questo genere testi che fanno rabbrividire come “Non vi ho mai conosciuti. Allontanatevi da me, voi che operate l’iniquità! (Mt 7,23) … Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti (Mt 13,41-42)… Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre (Mt 22,13)… Arriverà il padrone quando il servo non se l’aspetta e nell’ora che non sa, lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti (Mt 24,51) … Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli (Mt 25,41)”. Sono parole terrificanti non uniche sulla bocca di Gesù.
Ma l’incontro con Dio può essere una drammatica resa dei conti? Di fronte a questo rischio chi può sentirsi sicuro di averla fatta franca? È questa la giustizia di Dio? Questo comportamento può essere considerate “vangelo”, cioè “buona notizia”?
Come si concilia tutto questo con quel Dio della “pecorella smarrita” che è venuto a “cercare ciò che era perduto” (Lc 19,10) e che si gloriava di essere “l’amico dei pubblicani e dei peccatori” (Lc 7,34)? Questo Dio potrà un giorno schierarsi contro di loro? Anche la “giustizia” di questo Dio non convince: potrà il male dell’uomo (creatura fragile, limitata, finita) essere punito con un castigo infinito, “eterno”? e la proporzione fra la colpa e la pena dov’è?
Secondo la nostra ottica un giudice è giusto quando punisce con equità. Ma è questa la giustizia di Dio? Egli è giusto, sostiene il biblista p. Armellini, non perché premia o castiga conforme ai nostri schemi e criteri, ma perché riesce a rendere giusti coloro che sono malvagi (Rm 3,21-26).
L’inferno esiste, ma non è un luogo creato da Dio per punire, al termine della vita, chi si sarà comportato male. È una condizione di infelicità e di disperazione creata dal male da cui però è possibile uscirne facendosi guidare dall’azione liberante e accogliente di Cristo e dei suoi fratelli.
La questione dunque è il “mettersi in viaggio” lasciarsi guidare da una sana inquietudine nel cercare “i perduti”; alla fine, continua p. Armellini è davvero difficile sostenere che quel buon pastore – cui nessuno riuscirà a strappare di mano alcuna pecora (Gv 10,28) – non trovi il modo di farci diventare tutti… “suoi agnelli”.
[Foto copertina: cultura.biografieonline.it ]