«Non abbiamo il diritto di essere cani muti e sentinelle mute!»

 Tutta l’esistenza, ogni pensiero, ogni singolo gesto e la vita tutta del beato Charles de Foucauld hanno gridato la sua appartenenza a Gesù. Un uomo che nella sua giovinezza ha vissuto gridi di morte. Lui e la sorella, a solo sei anni restano orfani di genitori. Cresciuti dal nonno materno, fuggono dalla guerra franco prussiana. La fede ricevuta si affievolisce nel buio, nel disordine e nella solitudine. Disperava dalla verità, viveva come si può vivere quando l’ultima scintilla di fede si spegne.

Militare a venti anni, gettato nella mondanità per il denaro ed immerso nel peccato, il suo urlo interiore sarà riletto successivamente come un dono di grazia. Disgusto, noia e tristezza avvertiva nel suo cuore nonostante le feste ed i mondani piaceri. Il grido a Dio nel suo cuore si propone insistentemente, soprattutto nella ricognizione che farà in Marocco. Attraverso i fedeli dell’Islam, il grido alla fede si fa sempre più forte. Tornato in Francia, la presenza di Dio nel suo cuore si trasforma lentamente in espressione di misericordia ed incontro con la verità.

Egli chiede a Dio di poterlo conoscere, se realmente esiste. Scopre la grandezza di Dio, come nell’Islam, ma nella misericordia cristiana. Quella fede che riteneva assurda, dopo sentirsi spinto ad andare in chiesa, cercando il silenzio, iniziò ad interrogare il suo cuore. Dinanzi a un confessionale, chiese al padre informazioni sulla fede, ma, invitato a confessarsi, ubbidendo come usano fare i militari, scoprì Dio e la sua vocazione. Iniziò la sua conversione che coincise con la sua vocazione religiosa. Il grido di Dio racchiuse la sua promessa nell’amore e nella speranza. Charles racchiuse tutto nell’amore mettendo al centro l’imitazione di Gesù. Si sentì fatto per imitare l’umile e povero operaio di Nazareth.

Entrò a far parte dei trappisti prima in Francia e poi in Siria. La pace infinita e la felicità inalterabile le trovò nella luce del vangelo che fece della sua terra un cielo. La felicità inalterabile fu luce che plasmava tutto nella sua vita, provando la custodia provvidente. La luce radiosa trasformò il suo volto.

Ma la vita di Nazareth continuava a risuonare in lui e andò lì per tre anni a vivere in una capanna. Ore di meditazione sui vangeli, ore di adorazione silenziosa, dalle suore clarisse, ore nelle quali sognò una fraternità di piccoli fratelli di Gesù.

Invece resterà solo fino alla morte. Ha cercato la vita umile, povera e piccola di Nazareth. Lasciando la trappa dopo sette anni, trovò a Nazareth nei tre anni, in una capanna, ciò che desiderava. Imitare la vita nascosta del Signore nell’oscurità della povertà. Imitazione, obbedienza e amore erano per Charles le vie della testimonianza. Il Dio a due metri da lui dal tabernacolo lo porterà a gridare quel suo amore in mezzo agli uomini. Charles fa diventare vita quotidiana l’amore per Gesù, divenendo fratello di tutti, soprattutto di quelli che non conoscono il Vangelo.

Consacrato ministro, sceglie di andare nel Sahara algerino otto volte più grande della Francia dove ci sono i più poveri dei poveri. È convinto che portando lì l’Eucaristia porterà luce a tutti, santificando quel luogo con la presenza di Gesù. La sua carità ascolta, accoglie e aiuta. È per tutti il fratello universale e il suo eremo la fraternità. Da contemplativo si fa missionario riscattando gli schiavi. Predica la bontà, ma denunzia l’immoralità della schiavitù.

Diceva: «Non abbiamo il diritto di essere cani muti e sentinelle mute! Dobbiamo gridare quando vediamo il male e dire a voce alta: “Non è lecito” e “Guai a voi ipocriti!”», eppure il suo grido d’amore fu inascoltato.

Per Charles manca tutto a chi manca di Gesù. Nel sud del Sahara raccoglie il grido degli ultimi, nei più abbandonati. Accoglie in ciascuno un figlio di Dio, riscattato e amato da Gesù, in ognuno vede un fratello. Essere buoni samaritani con tutti era il suo scopo. Raccolse per iscritto le tradizioni tuareg. L’apostolo della bontà portava a vedere la sua fede buona. Amare era, per Charles, stabilire la propria vita fuori di sé, in Gesù e nel Padre suo.