A proposito di Waiting for Godot

Tutte le volte che rileggo Waiting for Godot intuisco, sempre di più, il significato che Beckett attribuisce alla locuzione “Maybe tomorrow!”

Già, il “forse domani” è una legge di vita che, crescendo, faccio mia.

Non vuol dire rinnegare l’importanza dell’attimo, il “carpe diem” di Orazio, qui, viene superato da una visione speranzosa del futuro, attesa che, come recitava una famosa pubblicità, provoca più piacere del piacere stesso.

Un po’ come Il sabato del villaggio leopardiano, la stimolante sensazione che il meglio sia lì pronto ad accoglierci dietro l’angolo.

Tutte le volte che rileggo Waiting for Godot, mi rivedo nei dubbi di Vladimiro ed Estragone, e capisco quanto sia importante interpretare un testo.

Così, con licenza poetica, che non merito affatto di utilizzare, rispolvero reminiscenze di un inglese molto scolastico, e, ingannando coscienziosamente me stesso, traduco il titolo del libro personalizzandolo in un beneaugurante. “Aspettando, godo”.