Libere (e politicamente scorrette) riflessioni sui diversi modi di intendere “l’antimafia”, oggi.

Abbiamo imparato a conoscere una categoria sociale denominata “Antimafia”: un gruppo vastissimo di persone che cerca di tenere vive le idee di libertà, uguaglianza e giustizia sociale care a uomini valorosi vissuti in un recente passato.

Antimafia: un agglomerato sociale capace di apportare benefici alla nostra società? In realtà, esistono diverse declinazioni della predetta “categoria sociale”.

C’è, ad esempio, l’antimafia dedita alle commemorazioni e al ricordo: molteplici eventi vengono organizzati quotidianamente, su tutto il territorio nazionale, per ricordare uomini e donne trucidati, dalla piovra mafiosa, perché incapaci di rassegnarsi all’idea di vivere in una società ostaggio del terrore e delle ritorsioni.

Esiste anche l’antimafia-imprenditoriale: imprenditori o associazioni divenute, nel tempo, vere e proprie aziende della legalità, detentrici del “merito” di aver creato, nel corso degli anni, un business lecito, con le dovute eccezioni ovviamente, partendo da nobili valori costituzionali ed impianti legislativi rivoluzionari (si pensi, ad esempio, alla Legge Rognoni- La Torre).

C’è l’antimafia che potrebbe essere equiparata ad una piramide gerarchica (illuminanti, a tal proposito, le dichiarazioni di Franco La Torre, figlio di Pio, con le quali ha comunicato, alla pubblica opinione, la sua intenzione di abbandonare l’Associazione Libera) fatta di semplici operai, ambiziosi impiegati, dirigenti affamati di potere, ambasciatori deputati ad interloquire con il potere politico: quest’ultimo una vera e propria fucina di opportunità .

L’antimafia che predilige l’apparenza alla sostanza. Sostanza identificabile in chi oggi, in completa solitudine, lotta contro l’evoluzione criminale che dalla coppola e lupara è passata ad eleganti abiti da sera.

L’antimafia ancorata al passato che preferisce parlare e raccontare le brutture della mafia militare omettendo alcun tipo di riferimento alle pericolose collusioni tra stato e criminalità.

Insomma: “antimafia” è, oggi, una parola inflazionata che, al pari del termine “legalità”, è stata svuotata del suo significato primordiale.

Ho conosciuto, innamorandomene, uomini che non avevano la necessità di urlare e fare proclami, ma che preferivano il silenzio, letale, dell’azione costante ed immune da interessi personali

Gli Impastato, ieri, e i Masi oggi: uomini non presenti in direttori o comitati; non sostenuti da cordate di militanti-tifosi, ma muniti solo della forza della loro voce che, unitamente al dinamismo della loro mente, ha permesso loro di scoperchiare pentole che non andavano scoperchiate.

Ho scoperto storie di cittadini liberi ed integerrimi che hanno pagato, con la vita, la loro incapacità di essere indifferenti. I Diana, i Puglisi, i Manca: vittime inconsapevoli della mano mafiosa e soprattutto dell’indifferenza sociale.

Ecco, per approdare nel porto luminoso del pragmatismo e per preservare, soprattutto, il loro ricordo sarebbe necessario, oltre che moralmente nobile, purificarsi allontanandosi dagli show dell’antimafia per avvicinarsi ai luoghi, e quindi alla quotidianità, che fu, e lo è ancora, di persone realmente libere ed immuni dall’onta del compromesso. Persone: semplici persone, le cui orme restano indelebili nel sentiero tortuoso della verità e della giustizia.

Luoghi nei quali, nonostante il tempo trascorso, è possibile ammirare, in religioso silenzio, l’enorme patrimonio ideale e morale costruito, con lacrime e sangue, da chi voleva essere semplicemente un uomo libero e non un eroe imbalsamato in un blocco di marmo.

Il frastuono lascia quindi spazio al silenzio; spariscono telecamere e celebrità; si dissolvono i manichini e tornano i volti puliti, rispettosi e soprattutto dotati di un immenso patrimonio morale che consentirà loro di praticare azioni e non infami speculazioni.


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Una famiglia dalle sane radici, una laurea in Giurisprudenza all’Università di Bologna, con una tesi su “Il fenomeno mafioso in Puglia”, l’esperienza di tutti i giorni che ti porta a misurarti con piccole e grandi criticità ... e allora ti vien quasi spontaneo prendere una penna (anzi: una tastiera) e buttare giù i tuoi pensieri. In realtà, non è solo questo: è bisogno di cultura. Perché la cultura abbatte gli stereotipi, stimola la curiosità, permettere di interagire con persone diverse: dal clochard al professionista, dallo studente all’anziano saggio. Vivendo nel capoluogo emiliano ho inevitabilmente mutato il mio modo di osservare il contesto sociale nel quale vivo; si potrebbe dire che ho “aperto gli occhi”. L’occhio è fondamentale: osserva, dà la stura alla riflessione e questa laddove all’azione. “Occhio!!!” è semplicemente il titolo della rubrica che mi appresto a curare, affidandomi al benevolo, spero, giudizio dei lettori. Cercherò di raccontare le sensazioni che provo ogni qualvolta incontro, nella mia città, occhi felici o delusi, occhi pieni di speranza o meno, occhi che donano o ricevono aiuto; occhi di chi applica quotidianamente le regole e di chi si limita semplicemente a parlare delle stesse; occhi di chi si sporca le mani e di chi invece osserva da una comoda poltrona. Un Occhio libero che osserva senza filtri e pregiudizi…