Felice Colasanto, autore de Il vaso di creta (EtEt 2016) ci apre il suo cuore e ci svela segreti preziosi, raccolti nel silenzio di Camaldoli.

Il Vaso di creta sarà presentato ad Andria, presso il cortile di Casa Accoglienza “Santa Maria Goretti”, in via Quarti, il prossimo 6 giugno, alle ore 19.30.

Felice, nel tuo libro racconti di una singolarissima esperienza che hai vissuto nell’eremo di Camaldoli e la prima domanda è: com’è che un uomo come te, immerso in mille attività, decide di rinchiudersi per alcuni giorni a Camaldoli?

Oggi, dopo l’esperienza vissuta potrei rispondere elencando diversi motivi per i quali è valsa la pena trascorrere qualche giorno a Camaldoli. Direi che Camaldoli è utile per chi crede, ma anche per chi non crede, per chi ama la natura, per cercare un po’ di solitudine e silenzio, per sfatare molti pregiudizi e stereotipi sulla vita monastica, per chi ama l’arte e la storia e per chi ama leggere ed anche per chi ama la buona cucina.

Camaldoli è un luogo incantato nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, incastonata nella parte nord della provincia di Arezzo, nella splendida valle toscana. Camaldoli ha una storia millenaria. Il monastero è stato fondato nel 1012 ed è ancora abitato dai monaci benedettini, che se ne prendono cura, gestendo anche la struttura del famoso Eremo. A me piace viaggiare ed, in particolare, mi piace la terra toscana, per l’accoglienza della gente, che nulla ha naturalmente da invidiare a quella della nostra Puglia. Interessante la cultura, la storia, le testimonianze, che si possono raccogliere, diversa l’aria, che si respira, straordinari i colori delle campagne. In uno dei miei viaggi in Toscana, quindi, mi sono recato in provincia di Arezzo e ho visitato la comunità di Romena, poi, Camaldoli e l’Eremo. Ho subito apprezzato una realtà libera da pregiudizi, capace di mettersi in ascolto sincero e di confrontarsi, per approfondire i contenuti della propria fede, in un clima di autentico dialogo, confronto, libertà, ricerca umile e silenzio.

Raccontaci di quella lunga salita nel bosco …

È la strada che dal monastero conduce su sino all’eremo ed è appunta immersa in un bosco che sembra fuori dal tempo. In quel contesto avvertii subito come un bisogno di prendermi del tempo per me e quello sarebbe stato il luogo più adatto. Evidentemente cercavo un luogo immerso nel silenzio, per fare spazio nella mia mente e accogliere le innumerevoli domande, che, dopo la scomparsa di mio padre, richiedevano sempre più insistentemente delle risposte.

Il vaso di creta

Chi hai incontrato a Camaldoli e cosa hai ascoltato?

Il mio essere “piccolo”, innanzi tutto. Il mio essere distratto: non nelle cose di cui mi occupo giornalmente, ma nel riconoscere i segni, che ogni giorno mi capita oramai di vedere (non sempre) e che dovrebbero rappresentare per tutti il segno dei passi da compiere. Inoltre, ho incontrato, a tratti, chiarezza negli interrogativi, che oramai da tempo mi ponevo e questo grazie all’aiuto di un monaco eremita, con il quale ancora oggi continuo a scambiare epistole. Ho incontrato me stesso, ma quello che mi ha più meravigliato è stato l’incontro con un silenzio interiore sorprendente, dal quale sono affiorate dolcemente, quasi che fossero state incoraggiate ad affiorare, risposte concrete ad accreditare la fede, che sentivo sempre più presente in me. Ho incontrato anche dei dubbi, alcune paure, timori e freni alla voglia e al desiderio dell’azione. Attraverso i medesimi dubbi, ho incontrato e imparato ad ascoltare la coscienza. Ho cercato, riconosciuto e ascoltato il mio cuore.

L’uomo del XXI Secolo può ancora incontrare Dio?

Desidero che quanto dico sia letto come una mia personale interpretazione. Intanto, credo fermamente che incontrare Dio per l’uomo del XXI secolo sia possibile. Sono convinto di questo, perché Dio è ovunque.

Il punto è che l’uomo del nostro tempo è ingenuo e il suo modo di comportarsi infantile. Crede nella propria perfezione con la presunzione di conoscere tutto. Questo atteggiamento ci pone di fronte agli stereotipi di massa di pensiero e di comportamento, rendendoci inermi nei confronti di quanto nascondono questi stereotipi. Infatti, non ci sarebbe nulla di male, se questi stessi non fossero mezzi usati per fini lucrativi ed esclusivamente personali.

Credo, altresì, che Dio sia infinitamente più grande di ciascuno di noi e che trovi sempre il modo per entrare in dialogo con ciascuno.

Dio può e vuole parlare con noi… Egli ha parlato con me! La cosa più mirabile è che egli parla al nostro cuore in modo umano, ma noi cerchiamo sempre qualcosa di strabiliante, per credere e guardare lontano, in attesa di segni che ci sbalordiscano; non ci accorgiamo che ogni giorno è un miracolo… Credo, comunque, che ciascuno abbia i propri tempi ed è Dio che glieli concede. La fede in Gesù Cristo non è la conclusione di un ragionamento umano, ma è una maturazione donata.

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Perché scrivere un diario e perché pubblicarlo?

L’idea di scrivere un diario e, poi, di pubblicarlo non è stata mai nelle mie intenzioni. Di fatto negli ultimi tempi non volevo neanche più farlo. Tra l’altro, credo che chi scrive appunti piuttosto che cercare lettori cerchi se stesso attraverso una scrittura istintiva, quella intima dell’anima e non è sempre semplice rendere pubblici i pensieri della propria anima. In ogni caso, mentre mi dedicavo alla meditazione cristiana con i monaci eremiti, giorno dopo giorno, mentre pregavo con loro, camminavo nei boschi con i ritmi evidentemente più lenti, quelli della vita monastica ed eremita, ho cominciato a pensare che, se non avessi appuntato le emozioni, i semplici pensieri, che attraversavano velocemente la mia mente, passando prima dal cuore, mi sarei potuto perdere qualcosa di quella esperienza.

Tra l’altro sapevo che prima o poi sarei tornato a casa e presto quella esperienza sarebbe diventata solo un ricordo. In realtà, poi, non è neanche stato così… In quei giorni lo smartphone mi è stato davvero utile, non come mezzo di comunicazione (il segnale telefonico in quella zona di Italia non c’è), ma più semplicemente come block notes. Appuntavo tutto, scrivevo, per marcare nella mia mente quanto stesse accadendo in quel luogo, che tendeva ad amplificare le mie sensazioni, allargava i mie orizzonti visivi, mi faceva pensare a come cambiava in me il modo di vedere le cose: il tempo sembrava dilatarsi solo per il fatto che non si correva, ma si utilizzavano ritmi rispettosi dell’uomo. Tornato a casa ho riletto tutto quanto avevo scritto, condividendolo con i miei più cari. Mi è sembrato utile farlo, perché di lì sarebbe potuto nascere il confronto. Così è stato… Questo mi è subito piaciuto e ho pensato che conservare per me quegli appunti sarebbe servito solo alla mia riflessione personale.

Forse, se quegli appunti fossero stati resi pubblici, avrebbero stimolato anche negli altri interrogativi, oppure no, ma questo credo non importi, ora. Una cosa è certa: spero che quanti leggeranno questo diario di viaggio, abbiano l’illuminazione di cogliere il senso del mio atto di condivisione nel pubblicarlo e abbiano in dono l’attenzione, da quel momento in poi, di saper leggere il proprio cuore con la chiave di chi si pone con umiltà davanti all’irrequietezza creativa della propria anima.

La tua vita, dopo questa esperienza, è cambiata?

Credo che chiunque si rechi a Camaldoli e per qualche motivo si fermi, anche solo per qualche ora, non immagini cosa in realtà possa succedere; nessuno mai realizza pienamente quanto l’esperienza di Camaldoli possa davvero cambiare dentro… perché è proprio questo che alla fine accade.

In ogni caso, la mia vita non è affatto sostanzialmente cambiata rispetto a quanto non fosse già cambiata ancora prima dell’esperienza di Camaldoli. Piuttosto, mi sono spesso chiesto in quei giorni, cosa mi stesse accadendo dentro e mi stesse portando sempre più verso un desiderio di mutamento radicale e permanente. Ora sono costantemente all’ascolto della mia coscienza, cerco di fare del mio meglio nel riconoscermi uomo e, in quanto tale, limitato. Vado continuamente incontro a quella voce profonda, con la quale ho costantemente parlato a Camaldoli e non verso quella inesistente perfezione, nella quale spesso noi finiamo per vivere; riconosco i miei limiti, le mie particolarissime tare e oscurità e con questi mi proietto verso quello splendore candido e luccicante. Ho capito che o cerco in questo modo o mi perdo momenti belli della vita, che inesorabilmente scorre alle mie spalle, mentre sogno di apprestarmi ad accogliere Gesù e tutta la sua parola di Vita.

Certo, occorrono desiderio, passione, pazienza, anche un po’ di sofferenza, soprattutto quando la tua coscienza ti fa notare alcune cose. Con intelligenza, però, la assunzione consapevole di avere dei limiti, quelli propri del genere umano, mi ha avvicinato a Gesù e allo stato di serenità interiore, con cui ora affronto gran parte delle cose.

 


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La mia fortuna? Il dono di tanto amore che, senza meriti, ricevo e, in minima parte, provo a restituire. Conscio del limite, certo della mia ignoranza, non sono mai in pace. Vivo tormentato da desideri, sempre e comunque: di imparare, di vedere, di sentire; di viaggiare, di leggere, di esperire. Di gustare. Di stringere. Di abbracciare. Un po’ come Odysseo, più invecchio e più ho sete e fame insaziabili, che mi spingono a correre, consapevole che c’è troppo da scoprire e troppo poco tempo per farlo. Il Tutto mi asseta. Amo la terra di Nessuno: quella che pochi frequentano, quella esplorata dall’eroe di Omero, ma anche di Dante e di Saba. Essere il Direttore di "Odysseo"? Un onore che nemmeno in sogno avrei osato immaginare...