Shakespeare se lo chiedeva, ma il mondo d’oggi sembra aver finalmente trovato la risposta. Il contesto sociale nel quale viviamo, infatti, sembra più che altro declinato sul verbo apparire a discapito del verbo essere. Appaio magistrato o sono magistrato? Appaio carabiniere o sono un carabiniere? Appaio uomo o sono uomo?
Domande il cui fulcro è identificabile in un binomio, genuinamente schizofrenico, molto importante: apparenza-essenza.
Decidere di “essere” in un contesto di facciata è rivoluzionario ed al contempo molto pericoloso.
Raccontare l’essenza rappresenta un potente anticorpo contro l’apparenza.
Un uomo, oramai molti anni fa, ha deciso di essere un carabiniere.
Entrò, molto giovane, nell’Arma ricco di entusiasmo, ma soprattutto con un grande sogno: contribuire, semplicemente compiendo il proprio dovere, a rendere concrete, e non aleatorie, quelle idee di libertà che rappresentarono la stella polare nell’agire, in completa solitudine, dei vari Chinnici, Borsellino, Falcone, Dalla Chiesa, Cassarà, Montana, La Torre e tanti altri.
Una volta entrato nell’Arma, dopo diverse esperienze, fu trasferito in una terra “bellissima e disgraziata” e assegnato al reparto investigativo, con il compito principale di arrestare storici boss latitanti.
La Sicilia, in particolare Palermo, ha rappresentato, e rappresenta, per quel Carabiniere il luogo ideale per onorare e nutrire il suo amore innato ed eterno per la divisa dei Carabinieri e più in generale per la giustizia.
Con intuito, dedizione e sacrificio si immerse nel cono d’ombra nel quale fu, dolosamente, condotto il fantasma Provenzano. Dicono che il duro lavoro alla lunga premia e questo motto risultò tranquillamente applicabile al carabiniere che ben presto si avvicinò, attraverso pedinamenti e controlli certosini di utenze intestate a fiancheggiatori, ad un passo dall’arresto di “Binnù u tratturi”.
Il Maresciallo Saverio Masi non portò a termine la sua missione perché a causa di “eventi sovrannaturali” dovette desistere dal suo “pericoloso” intento. È importante ricordare che il boss stragista, successivamente convertitosi in “cristiano modello”, girava indisturbato in Italia e all’estero – si recò anche a Marsiglia per farsi operare, alla prostata, dal giovane e brillante urologo Attilio Manca che fu, pur non essendo mai stato un tossicodipendente, trovato morto a causa di un overdose da stupefacenti – e lo ha fatto per più di 40 anni. Le cause di questa lunga latitanza sono identificabili nella particolare furbizia del latitante o in un moto di pacifica indifferenza che contagiava la maggior parte dei soggetti che dovevano cercarlo e arrestarlo?
Il testardo carabiniere decise, nonostante la “brutta caduta” presa con Provenzano, di mettersi sulle tracce di Matteo Messina Denaro, detto Diabolik, altro storico boss stragista dei corleonesi. Anche in questo caso, nonostante avesse individuato la dimora del Messina Denaro, non riuscì ad arrestarlo. Oggi “Diabolik” è ancora un latitante.
Cause di “forza maggiore” hanno sempre impedito a questo carabiniere di portare a temine il suo lavoro.
Oggi Masi è il caposcorta di un magistrato che è nel mirino della mafia, e non solo, perché colpevole di voler scoperchiare pentole che non vanno scoperchiate: Nino Di Matteo, pubblico ministero impegnato nel processo sulla trattativa Stato–Mafia.
Saverio Masi ha deciso, e decide ogni giorno, rinnovando il suo atto di fede nonostante molteplici ostacoli, di continuare ad ESSERE un carabiniere. Per Essere bisogna conoscere il significato del valore della fedeltà: fedeltà ad un’idea e ad una divisa. L’impresa eccezionale, in un mondo incline al tradimento, è proprio essere fedeli.
Essere o non essere: io sono con Saverio Masi.