Un libro che ogni studente o anche solo aspirante studente di giurisprudenza dovrebbe leggere.
Un libro che dovrebbe leggere ogni avvocato e, in particolare, ogni magistrato.
Un libro che dovrebbe leggere il legislatore.
In realtà, un libro che dovrebbero leggere tutti.
Perché tutti hanno necessità di ripensare il loro modello di società e chiedersi se il modello retributivo (regole/rispetto delle regole/premio, che magari consiste solo nella non applicazione di una sanzione/pena; oppure, regole/mancato rispetto delle regole/sanzione e/o pena) sia quello su cui, pur millenario nella sua tradizione, vogliamo far poggiare le fondamenta della futura costruzione sociale.
Già queste prime parole potrebbero scoraggiare il lettore di questa recensione e fargli decidere di scartare l’idea di leggere Il perdono responsabile (Ponte alle Grazie, Milano 2011), sottotitolo (illuminante) Perché il carcere non serve a nulla, di Gherardo Colombo.
Ora, a parte che l’autore non necessita davvero di presentazione ed è dunque una garanzia più che autorevole per chi si accosti alle 130 pagine del testo, la prima, davvero piacevole, scoperta è proprio questa: il Perdono responsabile è scritto proprio per tutti, nel senso che tutti lo possono leggere. Lo stile di Gherardo Colombo è così piano, lineare, accessibile e, ripeto, piacevole, che la lettura scorre con estrema facilità, tanto che il testo ti cattura e si arriverebbe presto alla fine, se non fosse che quanto l’autore ci rivela è davvero degno della massima attenzione e, perché no, di una serena meditazione.
Peraltro, nelle pagine del Perdono responsabile, c’è posto per tutti: dalla definizione del rapporto tra culture e regole (idea su cui, lodevolmente, Colombo si spende da anni in centinaia e centinaia di scuole italiane) al discorso della montagna, da Beccaria alle più recenti acquisizioni in materia da parte degli organismi internazionali, da quanto si fa negli altri Paesi a quanto (non) si fa in Italia: non nel senso che sia di scarso valore quello che in Italia si fa, che anzi le nostrane esperienze pilota, dall’autore definite “artigianali”, sono davvero ammirevoli e capaci di infonderci speranza.
A proposito di speranza: commoventi e, di nuovo, un invito alla riflessione profonda sono le pagine in cui, con delicatezza, Colombo descrive le relazioni tra vittime (i parenti) e assassini (ad esempio i brigatisti).
Ed è per questo che Il perdono responsabile va letto. Perché offre una speranza. Ci dice che la società basata sul conflitto, sulla discriminazione (i capitoletti 6 e 7 andrebbero fatti apprendere a memoria dai nostri studenti … e non solo da loro!), sulla separazione è una società di morte, una società sempre in guerra. Non dovrebbe forse bastare la cronaca per convincercene?
Per di più, Colombo ci fa scoprire che il carcere è davvero inutile: costa molto, non riabilita, non ripara il danno subito. Vale la pena provare un modello alternativo: il perdono di cui parla l’autore non va infatti confuso con quello ispirato da sentimenti religiosi o da ingenuo buonismo. È davvero un modello di società che mira a cambiare i presupposti sociali, perché i reati diminuiscano, e mira a cambiare la relazione tra autore di un reato e vittima, perché l’uno accetti di farsi carico della sua responsabilità e l’altro della riabilitazione di chi gli ha fatto del male.
Il primo sarà riconciliato con la vittima e con se stesso. Il secondo con il colpevole… e con se stesso. Risultato: sarà la società, di cui vittima e colpevole sono necessariamente parte, a riuscirne riconciliata.
è possibile reperire il libro ad andria?
Gentile Marianna,
penso proprio di sì: è sufficiente recarsi presso una libreria andriese. Se non ce l’hanno già, potranno senz’altro ordinarlo. Io ne consiglio davvero la lettura. Ciao!