Tutto quel che c’è da sapere su una donna che l’Italia non può permettersi di dimenticare

Durante la resistenza si faceva chiamare Gabriella. Aveva poco meno di vent’anni quando davanti ai suoi occhi 31 partigiani erano stati impiccati, tuttavia l’orrore di quella scena non la spaventò. D’altronde l’insegnamento di suo padre, militante socialista perseguitato dal regime, ne aveva fatto una combattente.

Tina Anselmi ci ha lasciato pochi giorni fa a 89 anni. Tutti la ricordano come la prima donna ad essere diventata ministro in Italia ma nella sua vita, la staffetta “Gabriella”, è stata molto di più. Donna di coraggio e di valori, sempre vicina ai diritti delle donne e delle operaie, con lei se ne va una parte importante della nostra storia repubblicana.

Nata in Veneto in una famiglia cattolica e soprattutto antifascista, Tina Anselmi non ha esitato ad unirsi ai partigiani e, come sue tante coetanee rimaste sconosciute, ha rischiato la vita nella Resistenza, unendosi alle Brigate autonome Cesare Battisti.

Abbandonato il suo diploma da maestra, Tina, adottato il nome di battaglia “Gabriella”, si unisce a chi combatte gli oppressori nazifascisti. Percorre giornalmente il Veneto in bicicletta per consegnare del materiale agli altri partigiani, ma poi corre a studiare, perchè vuole diventare una insegnante.

“Ero conosciuta anche dagli altri partigiani come Gabriella. Avevo il compito di portare messaggi, materiale, avvisare se c’erano tedeschi in zona. Era un compito che poteva essere molto pericoloso. Più la guerra andava avanti, più alto era il prezzo che si pagava. La sera in cui si firmò l’armistizio la mia brigata e io, una delle quattro persone che hanno gestito il passaggio dalla guerra all’armistizio, abbiamo detto ai tedeschi: noi non vi ammazziamo, ma voi non fate rappressaglie. È stata una scelta intelligente perchè qui la guerra, a Castelfranco Veneto è finita senza distruggere vite e la ricchezza economica del nostro paese. Ogni giorno con la mia bicicletta facevo dai 100 ai 120 km e i miei copertoni erano sempre bucati”. Così Tina Anselmi ricorderà gli anni della lotta antifascista.

Alla fine della guerra, laureatasi in lettere, diventa insegnante elementare. A parte questo si dedica al sindacato, prima nella CGIL e poi nella CISL, appena fondata.

Decide di entrare della Democrazia Cristiana. Raggiunti i vertici del partito, la Anselmi vivrà momenti importanti della politica e della nostra vita repubblicana. Sarà presente, per esempio, al Congresso della Dc che, nel 1952, nominerà Aldo Moro segretario.

Deputata per varie legislature, è protagonista, nel 1976, di un fatto storico. È la prima donna nella storia d’Italia, a diventare ministro. A nominarla è Giulio Andreotti, che peraltro le affida un ministero chiave e particolarmente impegnativo: il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Tina Anselmi regge la responsabilità. Il mondo del lavoro lo conosce bene, lei che per diversi anni è stata docente e sidacalista.

Non sarà il suo unico incarico ministeriale. Sempre Andreotti le affiderà un dicastero altrettanto difficile: il Ministero della Salute. Anche grazie a lei sarà introdotto in Italia il Servizio Sanitario Nazionale. Ma non finisce qua.

L’apice della sua carriera politica lo raggiunge quando cerca di fare luce nel buio, nei poteri occulti. Non ha paura “Gabriella”, ha combattutto per la Resistenza, ha pedalato sotto le bombe, può affrontare tutto, anche un incarico che oggi definiremo impossibile. Nel 1981 è a capo della Commissione parlamentare d’inchiesta incaricata di fare chiarezza sulla loggia massonica P2. Per quattro anni, tra minacce e ogni sorta di ostacoli, la Anselmi tenta di far luce sul sistema guidato da Licio Gelli. Anche di fornte a questo, nessun timore. In fondo si parlava della stessa Gabriella che aveva trattato con i tedeschi guardandoli in faccia.


2 COMMENTI

  1. Mi augurto,Riccarda, che tu possa pubblicare altri profili dei padri Costituenti, perché la gente si renda conto dell’abisso esisente tra legislatori veri che guardano solo all’interesse della collettività ed impostori come quelli che hanno scribacchiato la Costituzione renziana. Che se malauguratamente andasse in porto, sottrarrebbe ulteriori fette di sovranità agli elettori e darebbe in pasto il territorio ai petrolieri, banchieri, malavitosi, politicanti da strapazzo ed affaristi di ogni risma.
    Buon lavoro da un vecchio che forse non ha fatto tutto quel che doveva per garantire un futuro migliore ai giovani ed un avvenire alla propria terra. Domenico

  2. Sono stanco di dar gloria sempre agli stessi uomini e alle stesse donne. Sono stanco di dar gloria ad un periodo storico che …. se la tira. Questo non significa dimenticare il passato o non tenerlo in debita considerazione.

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