Sarà per via del fatto di essere meridionale, di portare dentro una paura ancestrale della siccità, ma ogni volta che passo davanti a una fontana pubblica devo fermarmi a bere. Troppe volte mi si è stretto il cuore nel vedere le fontane chiuse, secche, avvizzite, così adesso lo sento come un imperativo categorico: anche se non ho sete bevo, adesso sgorga, poi “non si sa”.

Così ho fatto anche di recente, passando davanti a una fontana mi sono abbassato (io bevo anche ora come facevo da piccolo, facendo andare l’acqua direttamente in bocca, senza l’aiuto delle mani) e mentre bevevo, a 10 centimetri dai miei occhi, ho letto una data scolpita nel ferro: “1914”. Ho subito pensato che quella fontana, come la gran parte di quelle della mia città, era lì da un secolo esatto, perfettamente funzionante. E per l’ennesima volta ho pensato a quale miracolo sia stato l’Acquedotto Pugliese, l’acquedotto più grande d’Europa, che prende l’acqua dalla Campania e dalla Basilicata e ce la porta in Puglia che altrimenti, per i suoi approvvigionamenti, dovrebbe sperare nelle piogge, come si faceva avanti Cristo, quando già Orazio la definiva “sitibonda”.

E ora, nel suo centenario, invece di festeggiarla, quest’opera gloriosa, si sta provando a minarla. Un’opera che ha portato acqua pulita durante due guerre mondiali adesso è minacciata da un articolo dello “Sblocca-Italia”, il n. 38: quanto è beffardo il destino a volte. Questo articolo prevede il raddoppio delle estrazioni petrolifere, compreso quelle in Basilicata, e ciò porterebbe a contaminare la nostra acqua più di quanto non lo sia già. Questo è quanto denuncia la rete appulo-lucana “Salva l’acqua”, che insieme al coordinamento regionale “Acqua Pubblica-Basilicata” e ad altre associazioni pugliesi, ha organizzato domenica 23 novembre una ciclo-protesta per attirare l’attenzione sulla questione.

Il principale imputato è l’invaso del Petrusillo da cui attinge l’Acquedotto Pugliese. La Prof.ssa Colella dell’Università della Basilicata, con l’appoggio delle agenzie ARPA ed EHPA, ha dimostrato grazie alle sue ricerche che già oggi l’acqua del Petrusillo è soggetta occasionalmente a picchi di inquinamento. Ciò è dovuto alla pressione antropica, ossia a depurazioni fatte male o non fatte proprio e, ovviamente, alle estrazioni petrolifere che interessano ¾ del territorio lucano. Si prevede allora che, raddoppiando le trivellazioni, aumenterà anche l’inquinamento della falda acquifera, che supererà il livello critico. Il Petrusillo, poi, serve per il 65% utenza pugliese, ecco che il problema non rimane più circoscritto alla Lucania.

Il problema diventa sostanzialmente di “diritto all’acqua potabile”. Una falda acquifera inquinata, oltre a una minaccia per la salute di ciascuno, sarebbe un danno enorme per tutta la filiera alimentare, agricola, dell’allevamento e del turismo, settori che in Puglia in particolare rappresentano la maggiore fonte di entrate. Di contro, da un aumento delle estrazioni, che a livello nazionale restano di portata trascurabile, ricaverebbe benefici una parte residuale di popolazione.

Una terra non lontana dalla “Terra dei fuochi”, che con l’Ilva a Taranto e il carbone dell’Eni a Brindisi, ha già conosciuto i lasciti esiziali delle peggiori forme di capitalismo, non può permettersi l’ennesimo scandalo ambientale. Perché l’irreparabile non accada, però, serve che anche i cittadini pugliesi prendano atto della minaccia che incombe su di loro, unendosi ai cittadini lucani in una lotta che ancora non ha il risalto e l’importanza che meriterebbe. Il fatto che sia una lotta di prevenzione, in cui il danno si cerca si evitarlo più che trovargli una soluzione, dovrebbe restituirle legittimità invece di togliergliela, anche perché come dimostrano i casi su citati, spesso una soluzione poi non c’è.

Prendere l’acqua da dove ce n’è tanta e portarla dove non ce n’è, è progresso umano, perforare la crosta terrestre alla ricerca di idrocarburi che si preannunciano in quantità risibili è solo accanimento e speculazione, ossia regressione e barbarie.

Personalmente vorrei continuare ad attingere da quelle fontane che hanno bagnato la bocca di generazioni di pugliesi senza che l’acqua odori di benzina. Mi piacerebbe continuare ad inchinarmi davanti a loro per bere, e in quell’inchino malcelare un gesto di riconoscenza, consapevole che quel poco che abbiamo lo dobbiamo anche a queste inconsapevoli e distributrici di vita che, per 100 anni, mentre tutto andava a rotoli a causa di una spasmodica e cieca corsa al progresso, non hanno mai smesso di funzionare.