Chi è il moralizzatore? Che cos’è il moralismo? non è una realtà politica o religiosa…di stampo clericale: è una piaga sociale… una forma di rigidezza che rassicura e tranquillizza la coscienza di chi la pratica… è un nascondiglio sicuro dal quale additare senza incertezze buoni e cattivi.
Dietro l’alibi di principi supremi nei confronti dei quali è difficile dissentire, si nasconde una spasmodica ricerca di autoaffermazione: a ridosso di una presunta giustizia da rispettare e un ordine etico da tutelare, che solo marginalmente ha a che fare con Dio, c’è un’empia eliminazione degli avversari perché competenti …ma che si oppongono al proprio sogno. Forse l’attenzione esagerata alla “verità”, intesa non come ricerca, ma come buona reputazione da costruirsi rapidamente e da tutelare, ha accentuato certe forme autoritarie di manifestazioni: una specie di falso rispetto, di modi complessi di comunicare, di forme non autentiche di relazionarsi con le persone.
Quando la non attenzione alla dignità impedisce linguaggi sinceri e la mistificazione avvilisce il dono della trasparenza, la spinta che viene da dentro si incanala spesso verso certe manie costituite dal vezzo per le novità tecniche e il comunicare degenera nel verbalismo quale arte a se stante, piacevole ad ascoltarsi, ma che non comunica, perché non ha interlocutori ma adulatori interessati.
L’uomo che non comunica trattiene dentro di sé delle energie espressive e finisce per caricarsi di aggressività che poi non riesce a trattenere e quindi tende a scaricarla sugli altri e sul mondo. Non è questione di malvagità. Quest’uomo attraverso la riflessione non discerne emozioni e impulsi vissuti; non vede la carica aggressiva, non la riconosce nelle proprie origini, come fonte di tanti gesti, piccoli o grandi. Il modo di relazionarsi con gli altri diviene competizione, arroganza, esercizio del proprio ruolo come affermazione di potere… è un individualista in cui c’è impermeabilità all’ascolto; anzi gli altri, percepiti come possibili antagonisti, sanciscono il proprio individualismo in cui l’unico elemento di appoggio sono i propri superiori tutori e garanti del proprio ruolo. Qui l’esercizio della “lamentazione” diventa la riprova che l’incomunicabilità sconfina nella seduzione. Quando all’orizzonte scompaiono figure nobili e credibili in grado di ridare fiducia a chi è stanco, la tristezza diventa infinita: mancando la speranza, rimane il rimpianto.
Ai “moralizzatori”, quali “compagni di cordata”, per riacquistare un buon equilibrio, è d’obbligo l’invito fraterno a ritornare in formazione per riscoprire quel profumo di infinito che porta a riassaporare il cuore della vita fatta di condivisioni e non di deliranti verbalismi che non depongono a favore dello spessore di una spiritualità; pertanto rimane sempre attuale l’invito di Paulo Freire ad imparare a parlare ascoltando, perché così si promuove una relazione fondata sulla reciprocità: mentre l’altro parla, tu, per ascoltarlo, taci di un silenzio rispettoso “senza essere messo a tacere”.
Elia Ercolino
[ In copertina un fotogramma dal film “Saw]